Donati, P. (2007). L’identitá maschile e femminile: distinzioni e relazioni per una societá a mistura della persona umana. Memorandum, 12, 75-94. Retirado em       /  /  , da World Wide Web http://www.fafich.ufmg.br/~memorandum/a12/donati02.htm

L’identitá maschile e femminile: distinzioni e relazioni per uma societá a misura della persona umana

 

The masculine and feminine identity: distintions and relations to a society in the measures of the human person


Pierpaolo Donati
Università di Bologna
Itália

Sommario
L’attuale società occidentale si trova in difficoltà ad elaborare una cultura capace di cogliere e arricchire tale differenza sessuale (gender) senza perdere l’umano che è in essa.
Prevalgono le conflazioni (conflations) e gli attraversamenti (crossings) fra le due polarità, maschile e femminile. È necessario elaborare una cultura capace di distinguere maschile e femminile senza che l’umano possa essere ripartito a metà fra i due oppure visto in una relazione oggettivata di complementarità che, mentre esalta la differenza, perde la pienezza della persona. Per cogliere interamente nell'uno e nell'altro gender, benché in modi esistenzialmente diversi, la cultura deve gestirli relazionalmente. La differenza ha senso per riferimento all'identità dell'umano. É sul piano delle funzioni, in particolare quelle procreative e familiari, che una pienezza deve cooperare - deve definirsi relazionalmente - con l'altra pienezza; altrimenti non viene prodotto il bene comune come bene relazionale (il figlio, la famiglia come relational good della società).

Parole chiave: persona; differenza sessuale; maschile e femminile.

Abstract
The present occidental society finds itself with difficulties to elaborate a culture capable to harvest and enrich the sexual difference (gender) without losing the humane that is inside it. Predominate the conflations and the crossings between two polarities, masculine and feminine. Must be elaborated a culture capable of distinguish between masculine and feminine, without dividing the humane and without considering it as a complementary objective relations that, although exhale the difference, loses the person as hole. To catch the human being in an integral way, in both genders, in spite of their different existential way, the culture should approach it in a relational way. The difference has a meaning if it’s referred to the human identity. It’s in the level of the functions, specifically the procreatives and familiars, that a fullness must cooperates – should define itself in a relationship – with another fullness; in another way it doesn’t produce the common good as a relational good (the son, the family, as a relation good of the society).

Keywords: person, sexual difference, masculine and feminine.

 

1. Leggere l’identità della persona e delle sue relazioni secondo il gender

C'è una rivoluzione culturale che passa attraverso la ridefinizione di ciò che è maschile e femminile. Vogliamo capire in che cosa consiste, come può essere interpretata e come può essere affrontata.

Questa rivoluzione riguarda i singoli individui, tutti gli individui, ma ha un bersaglio centrale: la famiglia. E si capisce il perché: la ragione sta nel fatto che la famiglia è il luogo generativo e rigenerativo fondamentale della differenza sessuale. Luogo fondamentale perché originario e originale, ossia costitutivo primordiale di quel codice simbolico duale su cui si fonda il pensiero umano e che presiede alla stessa possibilità di realizzare l’umano in quanto relazione di piena reciprocità inter-soggettiva.

La rivoluzione di cui si parla mette in causa il senso di sé in ciascuno di noi. Diventa difficile rispondere alla domanda chi sono io? dal punto di vista dell’identità sessuata. Cosa vuol dire che sono maschio? Cosa vuol dire che sono femmina? Perché debbo essere maschio? Perché debbo essere femmina? Rispondere a questi perché è difficile, specie se consideriamo che il perché ha un duplice riferimento: si riferisce sia al motivo a causa del quale sono maschio o femmina, sia al motivo a fine del quale sono l’uno o l’altra.

In apparenza la rivoluzione riguarda i ruoli sociali. Cioè riguarda il come comportarsi, in famiglia, a scuola, nel lavoro, con gli amici, in quanto uomo o in quanto donna. Ma la rivoluzione va ben oltre le attribuzioni di ruolo, perché investe le raffigurazioni delle qualità proprie di ciascun sesso e le reciproche attese, nei diversi contesti della vita quotidiana. Di fatto, la rivoluzione di cui parliamo mette in causa l’identità più profonda di ciascuno, perché suscita domande alle quali non sappiamo rispondere. In ogni caso, va ben oltre l'idea, in apparenza ovvia, che uomini e donne dovrebbero avere le stesse opportunità sociali di autorealizzarsi, in famiglia e fuori.

La difficoltà maggiore si riscontra in famiglia: tutti sono in difficoltà quando si tratta di capire ciò che in famiglia pertiene al padre/marito in quanto uomo e alla madre/moglie in quanto donna, al figlio in quanto maschio e alla figlia in quanto femmina. Ci sono delle differenze? Se ci sono, quali ragioni hanno di esistere? A parte le differenze biologiche non sembra che le altre differenze siano giustificate o giustificabili, se non come risultato di una lotta fra i sessi.

Ecco qui il primo punto fondamentale. Bisogna evitare una trappola: quella di difendere l’identità maschile e femminile solo perché legata alla biologia e alla necessità della riproduzione umana. L’identità sessuata, infatti, è una caratteristica ontologica della persona come tale, indipendentemente dal fatto di essere sposati o meno e dall’avere figli o meno.

Dire che il bimorfismo sessuale trova la sua ragion d’essere nella procreazione possiede una verità, ma, se questa affermazione viene posta come l’unica risposta vera, non ci fa capire né la sessualità umana né la ragione più profonda della diversità fra uomo e donna. Che non esiste solo per essere funzionale alla procreazione, ma per realizzare l’umano attraverso una dualità originaria in tutti gli ambiti di vita. Nella sua natura più intima, la sessualità umana non è paragonabile (tantomeno uguale) alla sessualità animale, anche quando si ammetta che esse differiscono per via della cultura propria degli esseri umani, che può modificarne le espressioni. L’individuo umano non può vivere, neanche volendo, la sua sessualità come l’animale, benché a volte possa sembrare che ci si avvicini di molto. La persona umana non è uomo o donna in quanto è biologicamente animale, ma perché è persona umana. La sessualità segna in noi ciò che di noi è propriamente umano in quanto unità profonda, e unica per ogni persona, di un corpo e uno spirito tra loro intimamente connessi.

La società contemporanea mette in causa proprio questa verità. Come lo fa? Attraverso due passaggi: innanzitutto introducendo una distinzione fra sesso (sex) e genere (gender), e poi sostenendo che l’identità di genere (gender) è una pura costruzione storica e sociale. A partire da ciò, viene messa in causa la famiglia in quanto modalità di vita che si basa sul costituirsi di una specifica e stabile relazione fatta di complementarità e reciprocità fra i due sessi. Ma ciò va contro l’esperienza comune, perché tutti sperimentiamo un duplice fatto: primo, che fra il sesso (biologico) e il gender (culturale) ci sono sempre delle relazioni non eludibili, alle quali dobbiamo attribuire un senso; secondo, che, per stare al discorso sulla famiglia, si fa famiglia diversamente in quanto si è maschi e in quanto si è femmine.

Gender è un termine inglese che nel linguaggio internazionale sta a significare il carattere sessuato, maschile o femminile, delle identità, ruoli e relazioni. Si riferisce agli aspetti socialmente costruiti, quindi non biologici, ma culturali, incluse le credenze, le percezioni, le preferenze, gli atteggiamenti, i comportamenti, le attività svolte in generale. Dunque, il termine di gender non si riferisce al sesso biologicamente inteso (in inglese: sex), ma agli aspetti culturali e sociali che distinguono gli individui e le loro azioni ed espressioni di ogni tipo in maschili e femminili. La lingua italiana ha un solo termine (sesso) per indicare sia il sex sia il gender. La distinzione pone il problema di quali relazioni esistano o possano esserci, fra le caratteristiche biologiche e quelle socio-culturali. Il tema è spesso eluso nella ricerca e nella letteratura, nelle quali predominano presupposti razionalistici e costruttivistici, come se le relazioni fra sex e gender fossero variabili a piacimento. C'è anche chi sostiene l'idea che le due nozioni di sesso e gender sarebbero ormai talmente variabili e indefinite da dover essere abbandonate. Ma chi argomenta in questo senso adduce motivi del tutto ideologici ed è preda della destrutturazione post-moderna. Negli esseri umani, sia la sessualità sia il gender rispondono a certi requisiti di qualità; non possono essere liberi di fluttuare a piacimento, ma debbono trovare senso e modalità relazionali per riferimento alla unità fra sesso e gender della persona umana. Le differenze debbono essere collocate in una prospettiva relazionale della dignità che è propria della persona umana come tale, la quale è chiamata a realizzare la pienezza dell’umanità in se stessa secondo se stessa.

In ogni ambito di vita, due diversità bio-psichiche si incontrano, interagiscono, si compensano ed entrano in conflitto, si aiutano e competono fra loro, si scambiano tante cose, si ridefiniscono l'una per rapporto all'altra, dividendosi i compiti, negoziando spazi di libertà e di rendicontabilità reciproca sulla base di una specifica attribuzione di sesso. Tu sei uomo e perciò ti compete questo, tu sei donna e perciò ti compete quest'altro.

Ma che cosa compete agli uni e che cosa alle altre ?

La distinzione maschile/femminile ha avuto, nel corso della storia, molte varianti. Ciò che viene attribuito come proprio di un sesso o dell'altro può mutare, anche grandemente. Tuttavia una distinzione maschile/femminile è presente in tutte le società. In ogni società storicamente data la famiglia è precisamente quella relazione che istituzionalizza il legame riconosciuto come legittimo fra i generi, definendone le reciproche attribuzioni di ruolo in un insieme differenziato di diritti e obblighi concreti. La rivoluzione odierna sembra tale da mettere in crisi non solo questo assetto, in vista di una rinegoziazione di ciò che spetta all'uno e all'altra, ma - ben più radicalmente - la distinzione di gender in se stessa. Viene messa in gioco la famiglia in quanto forma di vita che organizza la differenza biologica sessuale in una istituzione sociale e culturale fondamentale.

Siamo di fronte ad un processo storico di ridefinizione non solo dei ruoli, quindi delle aspettative reciproche nelle relazioni di convivenza quotidiana, ma anche delle identità - personali e sociali - legate al sesso degli individui. Non viene solo messa in causa la divisione tradizionale del lavoro, che attribuiva all'uomo soprattutto il compito di lavorare per procacciare le risorse e alla donna soprattutto il compito di curare i figli e l'ambiente domestico, con tutte le attenuazioni, integrazioni e varianti che si potevano presentare caso per caso. Viene rimesso in discussione il fatto che ci siano compiti maschili e femminili (per esempio la maternità e paternità), sino a ritenere che nella coppia il maschile e il femminile possano essere invertiti o resi sovrapponibili in più o meno tutte le dimensioni esistenziali. Questo processo modifica in modo sostanziale il senso della famiglia come realtà di gender, ossia come modo di essere e di vivere in quanto uomini e in quanto donne. E' come se la famiglia non fosse più una relazione socialmente sessuata. Nell'immaginario collettivo post-moderno, maschile e femminile diventano una questione di gusti e preferenze soggettive, in tutti i sensi. Di conseguenza, così si dice, la famiglia non richiede più una differenziazione predefinita e stabile fra uomo e donna: al limite, così sempre si dice, potrebbe anche esistere una famiglia uni-gender. Una tesi, come si sa, che si regge sull’idea che il gender, diversamente dal sesso biologico, sia una pura costruzione sociale.

Non si tratta, come spesso si dice, solo del rovesciamento di un determinato compito o di una certa connotazione. Per esempio, se lavorare fuori casa sia più proprio dell'uomo oppure della donna, se accudire il bambino appartenga più ad un gender o all'altro, se vestirsi con certi abiti o acconciare i capelli in un certo modo, così come lavare le stoviglie o fare altri lavori di casa, sia più femminile o più maschile. Si tratta, molto di più, del fatto che viene messa in causa la rilevanza stessa della distinzione maschile/femminile agli effetti di ciò che costituisce il fare e l'essere famiglia. Il movimento parte da tutte o quasi le dimensioni della vita sociale e quindi si riflette su tutte o quasi le dimensioni della vita familiare. Fino a negare che la famiglia (essere famiglia, fare famiglia) necessiti di due generi distinti.

In questo contributo, sostengo tre tesi di fondo.

Primo: il processo di omogeneizzazione fra uomo e donna è più apparente che reale.

Secondo: leggere il processo di differenziazione fra uomo e donna sotto la figura dell'uguaglianza/disuguaglianza, porta a delle fondamentali incomprensioni, mentre risulta assai più fecondo, e rispettoso della loro pari dignità, leggere la distinzione maschile/femminile sotto la figura della differenza che richiama la distinzione fra ciò che è proprio e ciò che è comune fra loro, o, se si vuole, somigliante/dissomigliante.

Terzo: abbiamo bisogno di una nuova cultura di gender, cioè di una cultura relazionale delle interdipendenze fra i generi che ne valorizzi la specifica umanità.

Nel sostenere queste tesi, non intendo in nessun modo sottovalutare l'importanza dei cambiamenti più significativi avvenuti nei rapporti fra i generi, soprattutto nella direzione del riconoscimento della pari dignità giuridica e morale fra uomo e donna. Sotto questo aspetto, molte sono ancora le mete da realizzare in pratica. Ciò che intendo, invece, evidenziare è il fatto che, laddove di fatto i generi tendono a diminuire la distanza che li separa, in realtà è in atto un processo complesso e ambivalente, che è insieme una ricerca di ciò che è loro comune (in quanto proprio della persona umana come tale) e di ciò che li rende peculiari (e che dunque realizza l’autenticità dell’essere umano in quanto maschio e in quanto femmina).

Contrariamente a quanto spesso si pensa, la famiglia si distingue sempre più come quella specifica relazione sessuata che ha il compito di portare ad un nuovo modo di vivere il proprio gender secondo un'identità personalizzata di tipo relazionale, anziché secondo canoni prefissati (Donati 2003).

 

2. L'identità sessuale nel processo di fluttuazione culturale: fra omogeneizzazioni e differenziazioni

2.1. La caratteristica sessuata riguarda gli aspetti biologici (il corpo), gli aspetti psichici (la personalità), quelli sociali (le comunicazioni nella forma di scambi e relazioni), quelli culturali (le rappresentazioni e i modelli di valore). Ciascun aspetto presenta un certo grado di variabilità. Anche quello biologico non è totalmente deterministico, benché sia normale il fatto che, dal primissimo stadio di vita fino alla maturità corporea, si determini una precisa conformazione dell'individuo in un sesso o nell'altro. La variabilità cresce quanto più ci si allontana dalle determinanti naturali (biologiche) del sesso verso quelle psicologiche, sociali e culturali.

Gli aspetti a cui siamo qui primariamente interessati sono quelli psico-socio-culturali, che interagiscono fra loro: il mondo interiore di ogni persona (sentimenti, aspirazioni, desideri, fantasie, ecc.), considerata nel suo gender maschile o femminile, interagisce continuamente con le altre dimensioni, con le forme della comunicazione (scambi e relazioni con l'altro sesso) e con i modelli culturali.

Molte, se non proprio tutte, le dimensioni della società, cioè ruoli, comportamenti, gusti, mode, idee, hanno un gender. Quasi tutto, nella società, può essere letto come più pertinente ad un sesso o all'altro. Vi può essere, e di fatto c'è sempre, una zona di in-differenza e di in-determinazione. Ma le società sinora esistite hanno sempre cercato di limitare al massimo la zona di incertezza. Figure come quelle dell'androgino o del travestito o del transessuale sono state in qualche modo ‘riconosciute’ solo in modo assai limitato, e sempre e solo per certi gruppi o ruoli o momenti sociali molto particolari. La civilizzazione è stata edificata su una tendenza culturale ad attribuire ogni modo di essere in società alla polarità maschile o femminile, seguendo in parte degli impulsi biologici e in parte delle motivazioni sociali.

Una seria analisi fenomenologica dell’esperienza storica, porta a vedere la verità di quanto un giorno ha scritto Edith Stein: 

Sono convinta che la specie ‘umana’ si sviluppa come specie doppia ‘uomo’ e ‘donna’; che l’essenza dell’essere umano, cui non deve mancare alcun tratto, sia nell’uno che nell’altra si manifesta in un duplice modo; e che l’intera struttura dell’essenza mette in evidenza questa specifica impronta. Non soltanto il corpo ha una struttura diversa,  non soltanto sono diverse le singole funzioni fisiologiche, ma tutta la vita fisica è diversa, è diverso il rapporto tra anima e corpo, e nell’ambito dell’anima è diverso il rapporto tra spirito e sensibilità; come pure il rapporto reciproco delle forze spirituali (Stein, 1957, p. 65). 

Ciò è confermato dai più recenti studi psicologici, che mettono in luce come la dualità corporea si accompagni e si esprima necessariamente in una dualità di codici simbolici.

Maschile è tutto ciò che ha la caratteristica del penetrare, di una forza che rompe la circolarità, di ciò che dà impulso, di ciò che spinge a focalizzarsi su un preciso oggetto (su una scelta, su un impegno determinato e circoscritto) e solo secondariamente sulle sue connessioni con il resto del reale; richiama uno stile di pensiero più attento all’essenza dell’oggetto che alle sue relazioni, è legato a modalità di azione improntate ad un uso mirato della forza (fisica o intellettuale), all’avventurosità audace, alla competitività.

Femminile è tutto ciò che ha la caratteristica di avvolgere, di prendersi cura dell’oggetto nelle sue relazioni con il resto del mondo, focalizzandosi non tanto sull’essenza dell’oggetto, quanto piuttosto sui suoi confini e sui rapporti che persone e cose hanno fra loro; in breve, diversamente dalla linearità penetrante propria del maschile, il femminile è relazionale, cioè circolare e connettivo, capace di mantenere l’attenzione a più oggetti contemporaneamente, diversamente dal maschile che concentra forza e operatività su un aspetto del reale alla volta.

Quando si verifica una inversione di questi codici simbolici, e delle identità e ruoli corrispondenti, si generano sovente delle patologie. L’obiettivo di una cultura sana non è quello di fare sì che si realizzi una uniformità dei sessi davanti ai compiti e agli impegni della vita quotidiana. L’obiettivo non è che la donna possa fare quello che fa l’uomo o, viceversa, che l’uomo possa fare quello che fa la donna (cioè la piena reversibilità delle identità e dei ruoli). Ciò provoca un circolo vizioso e senza fine in cui entrambi i sessi perdono qualcosa della loro ricchezza. L’obiettivo, semmai, è la conquista della libertà di poter fare le cose della vita quotidiana in modo diverso, con sensibilità e stili propri. L’apparente omogeneizzazione va dunque interpretata come ricerca di identità e stili di vita in cui il bimorfismo sessuale possa esprimersi originalmente come dualità originaria. Il senso di essere maschi o femmine sta nell’indicare la vocazione originaria della persona umana alla reciprocità interpersonale mediante il dono di sé rispettivamente come uomo e come donna. La dualità originaria, quando non sia strumentalizzata o distorta, appare come una forma di umanità senza la quale l’umano che è in ogni donna e in ogni uomo non può emergere.

2.2. Il luogo in cui la distinzione di gender (maschile/femminile) ha trovato sinora, nel corso di tutta la storia umana, il suo proprium simbolico e funzionale primario è stata ed è la famiglia. La società costruisce bensì altre differenziazioni fra i generi, per esempio nel lavoro e nella vita civica, ma quella familiare è quella fondamentale, perché riguarda l'identità e i vissuti più profondi e duraturi della persona. Molte differenziazioni di gender extra-familiari sono pensate e vissute in analogia con quelle familiari.

Ruoli maschili e ruoli femminili li troviamo anche fra gli animali. Ma, diversamente da tutte le altre specie animali, la famiglia umana attribuisce al gender sessuale un valore che va molto al di là di quello meramente biologico e istintuale, in quanto investe tutte le dimensioni simboliche e organizzative dell'esistenza. La famiglia umana elabora e articola il maschile e il femminile secondo dinamiche che non hanno paragoni nel mondo animale. E va notato che, nonostante i gender umani siano spesso rappresentati come una convenzione e un artificio, e come oggetto di una particolare estetica, essi presentano comunque tratti universali, che non sono solo riconducibili a fattori istintivi, in qualche modo legati alla funzione materna della donna e al ruolo protettivo dell'uomo, bensì rispondono ad archetipi simbolici di fondamentale orientamento per l'esistenza propria dell'essere umano.

2.3. L’odierna cultura dominante è orientata a produrre una crescente uguaglianza fra i sessi, per far sì che la distinzione di gender diventi sempre meno rilevante. Per la verità, gli studiosi della materia sanno che la tesi della omogeneizzazione progressiva non è scontata. Di fatto, coloro che enfatizzano l'uguaglianza utilizzano ancora un quadro di lettura dei cambiamenti in chiave moderna (emancipatoria), che non coglie più la realtà effettiva di ciò che accade. All'interno della cultura post-moderna, le variazioni di gender si stanno ampliando e/o si rigenerano in forme nuove, cosicché si dovrebbe piuttosto parlare di una nuova differenziazione di gender. Per capirne di più, dobbiamo entrare nei dettagli.

In certi campi, per esempio in molti settori dei consumi di massa (abbigliamento, modo di fare vacanze, uso del tempo libero, ecc.), le differenze di gender diminuiscono considerevolmente e talora sono quasi annullate. I jeans sono stati, a suo tempo, un esempio di abbigliamento uni-gender (allora si diceva uni-sex) e tuttora lo sono. Ma ciò non ha significato annullare le mode tipicamente femminili e quelle tipicamente maschili. Portare gli orecchini, un tempo costume tipico delle donne, può diventare attraente anche per molti uomini. Costumi fino a ieri ritenuti primitivi, come quello che oggi va sotto il termine di piercing, si sono riaffacciati come una moda giovanile indifferenziata quanto al gender. Si dice: la moda maschile si femminilizza, quella femminile si mascolinizza. Ma il fenomeno resta limitato, e comunque non soppianta le distinzioni tradizionali. Altre volte vi sono degli slittamenti netti. Per esempio, nel caso del linguaggio. Espressioni tipiche di un gender possono passare all'altro gender senza che accada il fenomeno inverso (così per esempio nell'assunzione di un gergo maschile fra le giovani donne). Alcuni sostengono che, diversamente da quando si castravano gli uomini per ottenere belle voci femminili, oggi accada il contrario, e si vada verso la mascolinizzazione della voce femminile.

In generale, nelle manifestazioni culturali, l'impressione diffusa è che si vada talora verso una femminilizzazione dei giovani maschi e talora verso una mascolinizzazione delle giovani donne. Si dice: il mito della bellezza, un tempo appannaggio delle donne, è anche sempre più maschile. Malattie sintomatiche un tempo quasi solo femminili, come ad esempio l'anoressia, sono oggi in crescita anche fra i maschi. Proprio queste impressioni di avvicinamento, fin quasi alla sovrapposizione nelle identità, nelle rappresentazioni, nei linguaggi, portano a teorizzare che i confini siano annullati.

Ma non è così. In molti aspetti o ambiti di vita la differenza di gender non solo persiste, ma si rigenera.

Va innanzitutto osservato che i fenomeni appena detti sono abbastanza superficiali e comunque non sono affatto uniformi. Non solo permangono fondamentali diversità fra i sessi sotto il profilo psicologico (le percezioni dello spazio e del tempo, della mobilità delle cose, la stessa memoria, trovano nelle donne e negli uomini forme e modalità diverse di ricezione, attenzione e ritenzione, che sono più dettagliate e posizionate nelle donne, più generalizzanti e meno contestuate negli uomini), ma anche le differenze culturali persistono e si riproducono in rapporto ad una serie di variabili: come la fase del ciclo di vita che le persone stanno attraversando, la loro collocazione sociale, la cultura locale e così via.

Ad esempio, per quanto riguarda la maggiore simmetria dei ruoli coniugali o di partnership, il quantum di avvicinamento fra i due generi varia in rapporto ad una serie di fattori intervenienti molto disuguali lungo la stratificazione sociale e le aree territoriali.

Contro certe tendenze strutturali ce ne sono altre di segno opposto. Per esempio si allarga il divario fra i sessi nelle aspettative medie di vita (le donne vivono mediamente circa sette anni più a lungo dei maschi, e la distanza aumenta).

Contro certe propensioni culturali, ce ne sono altre. Ci sono per esempio gruppi di donne che enfatizzano la differenza fino al punto da creare circoli, club, servizi per sole donne. La tendenza è meno evidente, ma non meno reale, per gli uomini. Quando stanno assieme, comunque, donne e uomini tendono a sottolineare gli aspetti espressivi della femminilità o della mascolinità di certi oggetti, gadget, azioni, comportamenti di moda, e tendono a distinguerne i contenuti in base a ciò. In molti casi, la moda tende a far risorgere modelli che accentuano la mascolinità e altri che portano la femminilità a nuove espressioni.

La diversità, rispetto al passato, consiste nel fatto che, oggi, la rilevanza di gender non viene più affidata all'adesione a modelli di conformità sociale, ma viene cercata nella esaltazione dello specifico sessuato che è in ogni individuo. La ricerca di distinzione di gender diventa più individualizzata. Potremmo anche dire più personalizzata, se non fosse che la personalizzazione richiede un iter progettuale e maturativo che non c'è. Molto, se non tutto, è affidato all'immagine esteriore. Inoltre, la rilevanza di gender rimane fortemente condizionata dai vincoli e dalle leggi del gruppo. Il gruppo di appartenenza rimane (e spesso diventa più) decisivo per l'identità di gender. Ciò che muta è il gioco degli ingressi e delle uscite dal gruppo che fa temporaneamente da riferimento culturale: non è il gruppo che viene meno, ma è l'appartenenza ad esso che diventa più casuale, più contingente, più variabile di un tempo. Specie fra i giovanissimi, il gruppo assume una coloritura di branco, e talora di tribù orgiastica. Solo per chi lo guarda superficialmente, dall'esterno, maschi e femmine si assomigliano: in realtà, nella legge del branco, la differenziazione fra i sessi è nettissima.

Proprio per questa caratteristica di mutevole e mobile segmentazione delle differenze sessuali che stanno fra la logica individuale e quella gruppale, è difficile dire se - nel complesso - la differenza di gender si sia attenuata o cresca. Una valutazione globale rischia di essere priva di senso. La realtà è che la differenza di gender, in quanto differenza rilevante dal punto di vista socio-culturale, si sposta da un campo all'altro. Diminuisce sotto un certo aspetto, ma aumenta sotto un altro aspetto. Scompare in un dominio relazionale, ma ricompare in un altro.

In generale, la donna è entrata nella vita lavorativa e sociale diminuendo la distanza con l'uomo assai più di quanto l'uomo non si sia coinvolto nella vita domestica avvicinandosi ai ruoli tradizionalmente femminili. Ma, più la donna si avvicina ai modelli di comportamento maschile nell'ambito lavorativo, più tende a enfatizzare la sua emozionalità nelle relazioni interpersonali, e non solo in quelle intime. Più l'uomo assume compiti domestici, più tende a enfatizzare tratti mascolini di competizione e anche di aggressività, sia dentro sia soprattutto fuori della relazione di coppia.

Tutto questo avviene, e qui sta una chiave essenziale di comprensione esplicativa, con una maggiore libertà individuale. In un numero più ampio di casi rispetto al passato, possiamo trovare uomini più femminilizzati (per esempio, quando assumono professioni tipicamente femminili) e donne più mascolinizzate (per esempio sul modello dei personaggi del film Thelma & Luise). Lo spettro della variabilità aumenta. Ma ciò non significa che la differenziazione polare scompaia. E' piuttosto vero il contrario. Non soltanto queste variazioni riaffermano la polarità, ma la approfondiscono.

Il fatto che in molti casi non si riesca a definire con chiarezza l'identità di gender - dei comportamenti e ruoli sociali - indica soltanto che non abbiamo un codice simbolico adatto a trattare il gioco delle differenze di gender che è diventato più complesso.

2.4. L'impressione dell'uguaglianza o omogeneizzazione è il prodotto di tre grandi forze storiche, che hanno in comune il fatto di osservare, per così dire, dall'esterno la differenza di gender, rendendola in qualche modo irrilevante: il mercato, il sistema politico, i movimenti libertari.

C'è innanzitutto la forza del mercato, che tende a porre una equivalenza fra i sessi in funzione dei suoi obiettivi. Per il mercato, almeno quello tipicamente capitalistico, il lavoro non ha gender, o, se lo ha, lo ha in funzione della massimizzazione del profitto. In ogni caso, anche quando il mercato considera la differenza di gender, lo fa secondo criteri produttivistici e consumistici.

C'è poi la forza del sistema politico, che tende a uguagliare uomini e donne in quanto semplici cittadini. Per le istituzioni politiche modernizzanti, il gender del cittadino è (deve essere) indifferente, perché il complesso dei diritti-doveri non è (non deve essere) distinto per sesso. La cittadinanza statuale moderna è riferita ad un gender neutro. Quando viene considerato ai fini della cittadinanza, il gender è più un fattore che serve di riferimento per scopi di parità che di articolazione e specificazione delle differenze fra i sessi nelle opportunità, risorse e strumenti di partecipazione sociale.

E infine c'è la forza dei movimenti sociali libertari che propugnano l'idea di un essere umano avente gli stessi diritti (e doveri, ma la cosa resta spesso implicita), senza riguardo al sesso. Vanno in questa direzione buona parte dei movimenti femministi e soprattutto quelli di liberazione sessuale, che propugnano la fine delle differenze di gender, appellandosi ad una ideologia ugualitaria nella quale la differenza di sesso viene assorbita in quella di gender e quest'ultima viene lasciata ai gusti e preferenze personali.

In tutti e tre questi casi, abbiamo a che fare con forze storiche che non guardano la differenza di gender dall'interno dell'esperienza umana per connetterla con le esigenze della vita sociale complessivamente considerate. Mercato, sistema politico e movimenti libertari tengono conto del gender solo per certe dimensioni, e sempre e solo vedendole dal loro particolare punto di vista: il profitto, la cittadinanza astratta, la liberazione sessuale. E' ben vero che qualche eccezione esiste, laddove in certe organizzazioni lavorative e produttive si valorizza il gender secondo istanze personalizzanti, laddove il gender diventa criterio per un diverso modo di attuare la partecipazione civica e la politica sociale, laddove le istanze di libertà umana includono l'esigenza di svincolarsi da stereotipi di gender. Ma, in generale, le tre forze storiche tipiche della modernità non valorizzano l'esperienza umana di mondo vitale, bensì riversano su di essa le proprie istanze unilaterali. Ciò che viene ignorato è il fattore di gender in quanto dimensione inter-personale e generalizzata che deve circolare in tutta la società, e trovare una sua identità, proprio in quanto elemento relazionale della vita sociale, a partire da quella familiare.

Che questo sia il caso viene confermato dal fatto che, spinti da queste forze, molti individui vivono la riduzione, l'annullamento o l'inversione della differenza di gender come lacerante per la propria condizione esistenziale.

Il mercato non ha certo molto rispetto per le donne. Soprattutto ne svalorizza, e perfino ne annichila, la funzione materna. Il sistema politico, che si è fatto grande alleato delle donne mediante il welfare state, si è rivelato per certi aspetti una trappola proprio per le donne stesse. Le misure cosiddette di welfare contribuiscono spesso (certo non sempre) a mantenere la donna in una condizione di assistita piuttosto che di protagonista. I movimenti libertari stentano a raccogliere le istanze più profonde delle donne. Essi ignorano il profondo bisogno di legame sociale, di identità relazionale e non individualistica, della donna.

Il fatto è, per riprendere il nostro discorso, che la riduzione delle differenze può essere fonte di maggior soddisfazione, ma anche fonte di maggiori conflitti. La donna deve reprimere le sue esigenze più profonde di femminilità. L'uomo deve reprimere il senso della sua mascolinità. Non sembra che l'annullamento delle differenze di gender sia soddisfacente sia per gli uomini sia per le donne. Eventuali inversioni di gender possono comparire ed essere legittimate solo localmente, per certe dimensioni molto particolari di vita o per certe situazioni problematiche.

Ne possiamo concludere che, in via generale, nella nostra società, la differenziazione fra i generi:

- si attenua in certi comportamenti e sfere di vita, a livelli piuttosto "superficiali", come sono la moda e i consumi, ma non senza che anche qui si producano nuove segmentazioni che ri-differenziano i sessi; nel complesso, l'omogeneizzazione è in gran parte il prodotto di un'illusione ottica, creata da processi di ideologizzazione e dai mass media;

- persiste e si rigenera a livelli profondi, intesi (a) sia come vissuti psicologici interiori (quali sentimenti, ansie, emozioni, desideri), (b) sia come strutture di stratificazione sociale (nella divisione sociale del lavoro, per quanto riguarda i diversi settori del mercato del lavoro - ad esempio con la femminilizzazione della scuola -, e nella partecipazione alle associazioni esterne alla famiglia).

Bisogna vedere che cosa succede, empiricamente, per la coppia (giovane, adulta, anziana) e per la trasmissione inter-generazionale (socializzazione dei figli).
 

3. I cambiamenti nella struttura di gender dell'organizzazione familiare

3.1. Il gender diventa rilevante nella famiglia, con la famiglia e per la famiglia, soprattutto in quanto si traduce in un ruolo sponsale o generativo (materno o paterno), lungo il ciclo di vita.

C'è una sorta di curva evolutiva della distinzione di gender: la differenza fra maschio e femmina cresce costantemente a partire dalla nascita e ha il suo massimo nell’età adulta, per poi stemperarsi nell’età più anziana.

 All'inizio, nella primissima infanzia, maschi e femmine presentano differenze minime. Le differenze crescono nel tempo, più o meno a seconda delle circostanze e dei contesti, a partire dal periodo di latenza e poi nell'adolescenza.

La scoperta da parte del bambino di una prima ed elementare differenza tra l'uomo e la donna, e quindi anche tra sé e tanti altri individui, è di solito precoce quando, anche nel loro comportamento, i maschietti e le femminucce cominciano a differenziarsi fra loro. Questa prima acquisizione di un'identità sessuale da parte del bambino resta peraltro confusa e mobile ancora per alcuni anni: grande importanza sulla sua definitiva formazione avrà l'ambiente, il quale potrà facilitare oppure ostacolare l'assunzione di un'identità sessuale corrispondente all'identità anatomica del piccolo/a: il processo si completerà in modo decisivo proprio nell'età prescolare. L'acquisizione di un'identità sessuale presenta sempre qualche difficoltà per il bambino, anche se essa è vissuta in modo giubilatorio, visto che si tratta di un movimento maturativo. Partendo da un'identità neutra, ma totale, il fatto stesso di riconoscersi come bambina (o maschietto) implica la rinuncia ad un sesso che da quel momento non le appartiene più e il riconoscimento di una mancanza di qualcosa. Ci sono poi alcune differenze fra maschi e femmine. Il maschietto scopre di essere diverso dalle femmine, diverso dalla madre. Questa conoscenza è molto importante per lui, perché lo favorisce nei suoi movimenti di autonomia dalla madre, facilitando la rottura della simbiosi con lei, mettendolo nella condizione, invece, di imitare il padre, che fino ad allora è vissuto come una seconda madre, un sostituto di lei. Il padre, uguale a lui, diventa oggetto dell'ammirazione e dell'affetto del bambino, ma, nello stesso tempo, per la relazione triangolare esistente (il rapporto d'amore fra i genitori), egli diventa anche l'oggetto della sua gelosia. Il padre finisce, quindi, per essere il punto di convergenza dei suoi sentimenti di ostilità e di amore, in una situazione di conflitto che genera ambivalenza. Tale situazione verrà a poco a poco superata, neutralizzando i sentimenti opposti e superando la scissione tra odio e amore. Solo allora il bambino potrà assumere una sua vera identità sessuale e un'identificazione con il padre, accettando i propri sentimenti ambivalenti. Il bambino prende atto di una realtà in cui vi sono sentimenti contraddittori, ma in cui l'amore e l'ostilità possono coesistere e annullarsi in una percezione dell'adulto sempre più realistica che comprende anche le sue debolezze e i suoi difetti. Il principio di realtà ne viene favorito: all'individuo è permesso di differenziarsi e di avere sentimenti positivi e negativi nelle sue relazioni umane successive. Per certi aspetti un poco più difficile è l'acquisizione di una identità sessuale nella femmina. Essa deve infatti rinunciare alla madre, del tutto uguale a lei, come oggetto d'amore, per trasferire i suoi sentimenti affettivi sul padre. In un secondo momento, per potersi identificare nella madre-donna, avrà bisogno di sentirsi amata dal padre alla stessa guisa di colei che vive nella relazione coniugale (è questo il concetto centrale del famoso complesso di Edipo). La separazione dalla madre onnipotente che nel primo anno di vita l'ha amata e accudita in modo totale è quindi per lei assai difficile, tenuto conto che la rivalità è vissuta da lei proprio con la figura da cui dipende esistenzialmente. Tutto ciò rende più consistente e più persistente l'ambivalenza della figlia nei confronti della madre e viceversa, rendendo difficile la sua autonomia dalla figura materna; tale ambivalenza caratterizzerà sia pure in modo attenuato la relazione madre-figlia anche negli anni successivi e potrà farsi particolarmente evidente nel momento dell'adolescenza. Forse in passato si è troppo sottolineato come lo sviluppo psico-sessuale della femmina sia connotato dalla coscienza di qualcosa che le manca rispetto all'uomo. Osservazioni più attente tendono ora a rovesciare almeno in parte tale concetto, vedendo la sessualità delle bambine da un punto di vista positivo e propositivo.

L'adolescenza segna normalmente il punto di decollo della distinzione di gender. Le differenze si accentuano al momento della formazione della coppia adulta e soprattutto nel periodo procreativo, quando l'adulto diventa genitore, per poi diminuire quando i figli ormai grandi escono dalla famiglia, e quindi a stemprarsi nell’età anziana, quando la mascolinità e la femminilità assumono una valenza più interiore.

Le difficoltà di gestire le differenze di gender sono legate a due grandi ordini di considerazioni.

i) In primo luogo derivano dalle pressioni sociali odierne per abbassare le differenze di gender agli estremi della curva (nell’infanzia e nell’età anziana), mentre nella fase centrale adulta del ciclo di vita la differenza è necessaria e tende ad aumentare.

ii) In secondo luogo, sono dovute alle esigenze di superare i momenti di transizione, cioè il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, il momento di ingresso nei ruoli adulti di coppia, poi il momento in cui si diventa genitori, poi quando i genitori non hanno più figli dipendenti, e infine quando si entra nei ruoli anziani, ovvero quando la coppia è sola e la necessità di differenziare il gender torna a diminuire, anche se il fatto di diventare nonni (o bisnonni) riaccende talune delle differenziazioni vissute in precedenza.

C'è chi prevede che, in una società che invecchia, i modelli familiari tenderanno a farsi sempre più uguali fra i generi. La tesi sostiene che, poiché la popolazione anziana diviene maggioritaria, e quindi condiziona tutte le politiche sociali e culturali, emergerebbe un tipo androgino, prevalente appunto fra gli anziani, che costituirà un potente fattore di pressione per una ulteriore ugualizzazione dei ruoli di gender lungo tutto il ciclo di vita. Ma per realizzare tale uguaglianza - così dice questa tesi - si dovrebbe tagliare il legame che esiste fra la cura dei figli e il gender (femminile soprattutto), il che a sua volta presuppone una piena occupazione femminile extra-domestica. La tesi ha chiaramente un sapore deterministico. Essa presuppone - precisamente - la negazione del ciclo vitale proprio della famiglia, e in particolare ipotizza che, nel periodo in cui la coppia ha figli e li alleva, la differenza di gender possa essere pressoché annullata, il che non è realistico.

3.2. In base a queste considerazioni si comprende più chiaramente perché una cosa come la famiglia uni-gender o una famiglia androgina sia altamente implausibile, qualora alla famiglia si continui ad annettere il significato di una relazione procreativa e socializzativa dei figli, e non già un significato generico di relazione affettiva e di compagnia intima, per quanto stabile.

L'idea di una famiglia uni-gender non sta in piedi perché annulla i tre requisiti fondamentali del ricambio generazionale: il fatto che la procreazione umana debba essere l'espressione di una relazione inter-personale fra i genitori del nuovo nato, che il figlio sia riconosciuto come il frutto di questa relazione, che i genitori abbiano una responsabilità educativa primaria nei confronti dei loro figli.

La famiglia uni-gender, in cui viene meno la polarità sessuale, è una contingenza possibile, ma empiricamente problematica. Si può presentare per necessità o per scelta, come nel caso delle famiglie con un solo genitore. Il caso delle coppie omosessuali è di ordine differente, sta in un altro ambito di discorso, in quanto queste coppie possono anche sentirsi soggettivamente famiglia, ma sono in realtà solo relazioni intime di affetto in cui la differenza di gender è annullata semplicemente perché viene annullata la funzione procreativa della relazione (il fatto che si possano avere figli in altro modo, con tecniche artificiali o per adozione, non muta la sostanza delle cose, in quanto non si tratta di figli naturali della coppia).

La famiglia uni-gender, a parte il fatto di essere presente statisticamente in quote assai ridotte di popolazione, è il prodotto di cause e circostanze particolari, che non possono essere sociologicamente generalizzate. Generalizzarle comporterebbe modificazioni radicali dell'intera organizzazione sociale, la quale dovrebbe allora ammettere le seguenti cose. Primo, che l'aver figli diventerebbe un fatto tecnico (procreazione con tecniche artificiali) o giuridico (adozione) indipendente dalla esistenza di una coppia procreante che instaura una relazione umana con il procreato. I figli, cioè, dovrebbero essere prodotti e distribuiti in accordo con criteri differenti da quelli di una procreazione umana da parte di una coppia responsabile. Secondo, che la sessualità potrebbe generare figli senza responsabilità sociali. Terzo, che la socializzazione dei nuovi nati sarebbe indipendente dalla relazione personale fra procreante e procreato. Una tale società non è certamente ancora in vista, e c'è da chiedersi come potrebbe mai essere fatta.

Di fatto, oggi, la gran parte delle famiglie uni-gender sono il prodotto di separazioni e divorzi, e non l'affermazione di nuovi modelli. I casi di un genitore solo che ha voluto un figlio per sé, o di coppie omosessuali stabili, sono rari, e le conseguenze sui figli restano tutte da valutare. Ci sono, certo, donne (e talvolta uomini) che vogliono un figlio solo per sé, fuori della relazione con il partner. Lo possono avere in molti modi diversi, sfuggendo alle regole della differenziazione sessuale, ma con questo è il figlio a patire la perdita di ricchezza del codice relazionale fra i generi, generalmente con gravi conseguenze sulla sua storia di vita personale.

Nella fenomenologia oggi in atto, le famiglie uni-sessuate sono realtà locali, cioè circoscritte a opzioni, necessità, vissuti e anche progetti molto circostanziati, che non possono diventare modelli per una intera cultura e un'intera società (considerata come organizzazione complessiva). Chi sceglie la procreazione di un figlio fuori della relazione con un partner stabile, non solo non può poi sottrarsi alle difficoltà di relazionarsi con l'altro gender nella vita sociale, ma rinuncia a quella reciprocità di gender che vuol dire arricchimento e promozione del sé e dell'altro, incluso il figlio.

3.3. La famiglia è fin dal suo principio una relazione sessuata perché, nel momento in cui gli individui pensano (progettano) di far famiglia, il gender diventa rilevante come prima non lo era stato. La differenziazione di gender è insita nella relazionalità interpersonale, prima che negli stereotipi sociali: se un partner è più attivo in certi aspetti, l'altro partner finisce per assumere altri compiti; se uno è più impegnato fuori casa, l'altro deve compensare, e così via. Queste distinzioni non sono ipso facto legate al fatto di essere maschi o femmine, cioè sono in una certa misura variabili e anche reversibili fra l'uomo e la donna. Ma i margini di variazione e inter-scambiabilità si riducono quando le persone si trovano a interagire come coppia sessuata di fronte a compiti continuativi che devono tener conto del complesso delle loro caratteristiche individuali. Sappiamo che tutti i piccoli gruppi mostrano la tendenza a differenziare i compiti in ruoli più espressivi e più strumentali. A priori non è detto che questi ruoli siano ricoperti da un gender o dall'altro, non sono cioè di per sé indice di femminilità e mascolinità. Lo diventano però nella coppia, perché questa vive del carattere sessuato della relazione, cioè mette in gioco l'identità biologica e i suoi vissuti psicologici e spirituali di fronte ai compiti che la stessa relazione sessuata comporta, a partire dalla procreazione. La differenziazione di gender è il gioco di queste diversità, nella ricerca di cooperazione e specializzazione, nella necessaria, seppure minima e leggera, asimmetria che esse comportano sempre da una parte e dall'altra.

La reversibilità dei ruoli ha un limite primario nella diversità biologica, e nei sentimenti che porta con sé. Ma ha anche limiti sociali che non sono puramente convenzionali. Deve essere empiricamente limitata in ragione della organizzazione dei compiti reciproci, nel tempo. Quanto più l'interazione è di breve durata e contingente, tanto più è probabile che la differenziazione non si stabilizzi. Ma a misura che si interagisce stabilmente nel tempo, la differenziazione di gender viene prepotentemente all'emergenza. E deve essere così se la coppia deve funzionare, cioè se deve essere risorsa a se stessa. Lo scarto fra le probabilità teoriche e quelle effettive che la differenziazione di gender venga vissuta in maniera reversibile fra i due partner indica il grado di rigidità/flessibilità dell'organizzazione familiare, la quale dipende da condizioni culturali e strutturali interne ed esterne alla famiglia. Ma dipende anche dal grado di affinamento psicologico e culturale dei partner. E si nota che una buona reversibilità, regolata e non caotica, è direttamente proporzionale alla determinazione di gender.

Di fatto, la coppia si rifugia il più delle volte in una certa rigidità. Ma esistono anche molte coppie e intere famiglie molto confusive dal punto di vista del gender. Vi vediamo individui biologicamente maschi e femmine, ma le identità maschili e femminili si mescolano, si sfilacciano, si annullano in continuazione. La relazione familiare, anche in tal caso, non cessa per questo di far sentire l'esigenza di una organizzazione che non svuoti il carattere sessuato delle identità e delle relazioni. Accade così perché la famiglia è il luogo in cui la sessualità umana assume, per la società, prima ancora che per gli individui, un particolare significato di incontro-confronto con l'altro, di fecondità, quali che siano tutte le altre possibili forme di espressione della sessualità - e sono certamente molte - in altri ambiti sociali.

Non si può vivere la famiglia a prescindere dal proprio gender. Se lo si fa, cioè se si rende irrilevante, in-differente, il gender, si entra in un altro tipo di relazione: non è più famiglia, anche se materialmente osserviamo un gruppo di persone che interagisce familiarmente. E' il progetto familiare, con la peculiare intimità che esso esprime, e deve continuamente produrre e rigenerare, che richiede il ricorso alla distinzione di gender.

In breve. Dal punto di vista fenomenologico, la famiglia non è la stessa se la si guarda, e soprattutto se la si agisce, dal punto di vista maschile o femminile. Beninteso, la famiglia è un valore e un oggetto comune delle donne e degli uomini. Ma, quando la si consideri in un'ottica sociologico-culturale, essa non è uguale sotto molti punti di vista se chi la osserva e la mette in pratica appartiene ad un gender o all'altro. Basterebbe solo considerare il fatto che l'uomo ha un'inclinazione alla famiglia che all'inizio del ciclo familiare è minore di altri interessi e poi cresce nel tempo, mentre pressoché il contrario capita alla donna, il cui interesse per la famiglia è massimo dell'inizio e poi decresce nel tempo rispetto ad altri ambiti o oggetti di impegno personale. Comporre queste due traiettorie, in parte divergenti, è l'improbabile compito di una intera cultura.

 

4. Processi di socializzazione primaria e corsi di vita delle nuove generazioni secondo il gender

4.1. Da alcuni anni a questa parte, le ricerche psicologiche, sociologiche e culturali hanno messo in luce una profonda trasformazione delle differenze di gender nella socializzazione primaria dei figli, e in generale nell'infanzia, adolescenza e prima giovinezza, anche se la direzione dei cambiamenti appare incerta e tutt'altro che scontata.

Le immagini sui giovani diffuse dai mass media, visivi e stampati, rappresentano una scena in cui sembrano apparire delle generazioni, storicamente inedite, sempre più de-strutturate dal punto di vista della identità di gender (s'intende, quando vengano confrontate con quelle precedenti). Non vediamo più né la figura del maschio virile e conquistatore, deciso e sbrigativo, né la figura della femmina affettuosa e civettuola, incline a comportamenti materni. Il machismo è stato messo al bando, e la donna non deve più essere la sola o la prima a presentarsi come un attrattore sessuale. Nella cultura virtuale dell'immagine, maschile e femminile perdono i loro contorni definiti. Maschi e femmine sembrano scambiarsi i modi di pensare e di agire, non debbono in ogni caso cristallizzarli in tratti tipicamente maschili o tipicamente femminili. Particolarmente nel mondo della fiction, dello spettacolo e del divertimento, e in generale della comunicazione giovanile sembra emergere una sorta di ermafroditismo collettivo.

Le autobiografie di giovani segnalano una tendenza in questa direzione. Ma, di solito, descrivono la vita di giovani con gradi elevati di istruzione, che vivono in contesti urbani-metropolitani, che appartengono a famiglie di classe sociale medio-alta, e non danno conto della storia di quei ragazzi e giovani - la gran parte - che vivono in altre situazioni. In effetti, per quanto la potenza dei mass media e l'attrazione dell'industria dell'evasione sembrino pervasive, i comportamenti della vie serieuse restano un'altra cosa. Le discrepanze appaiono chiaramente nella cronaca dei quotidiani, dove ogni giorno si registrano lotte furibonde fra le persone per via di una mancanza di accordo sui rispettivi ruoli di gender, a cui la cultura ufficiale non presta la minima attenzione, preferendo coprirli di ridicolo. Di fatto, quanto più si scende nella stratificazione sociale, e si va in contesti culturali marginali, anche nelle aree metropolitane, tanto più i conflitti e gli stereotipi di gender permangono e si riproducono con forza.

Ad una socializzazione tradizionale differenziata per gender, ossia più strumentale e permissiva per i maschi, più espressiva e restrittiva per le femmine, sembra essere subentrata, con una rapidità di cambiamento che stupisce, la diffusione di un modello di parità fra i sessi nella socializzazione al gender che si concretizza in una pratica rinuncia a pre-definire dei percorsi e delle norme appropriate ad un sesso e all'altro. In breve: non è che non ci siano più i maschi e le femmine; sono scomparse le regole che prescrivevano i comportamenti culturalmente necessari per essere considerati tali. In un tale contesto, ciascuno deve fare sempre più da sé. Deve assumere più rischi, deve andare per prove ed errori, deve cercare regole che siano adatte ad un mondo che non è più diviso fra una metà di uomini e un'altra metà di donne.

Per dirla in breve, oggi la socializzazione al gender viene rappresentata come una funzione largamente affidata alla soggettività dei singoli, nelle interazioni di gruppo e di coppia, assai più che alle istituzioni formative. Le agenzie educative non tematizzano più una socializzazione differenziata. Anzi, a parole la negano, anche se poi nei fatti la trasmettono (in modo peraltro latente, quindi non riflessivo). In particolare, la scuola dice di essersi assunta un compito di socializzazione all'uguaglianza dei ruoli.

4.2. Parlare, in questo contesto, di de-istituzionalizzazione dei percorsi di vita secondo il gender può essere fuorviante.

L'omogeneizzazione è in parte reale e in parte apparente. Sia la famiglia, sia la scuola hanno adottato un modello di socializzazione al gender che è ugualitario soprattutto quando si tratta di cose socialmente poco rilevanti. Ma, in realtà, sulle cose che contano davvero, trasmettono ancora modelli distinti. Solo che lo fanno in modo latente, quasi nascosto, per via del deficit di legittimazione culturale che sentono al riguardo.

La scuola italiana brilla per l'assenza di una propria tematizzazione sull'argomento della differenziazione di gender. La sola idea che si possano avere forme pedagogiche distinte per sesso, al fine di personalizzare l'educazione al gender, fa impazzire. Da tempo, ormai, la scuola italiana si è votata ad un modello, detto di co-educazione fra maschi e femmine, che in pratica significa mancanza di orientamenti e regole di distinzione. Questa linea pedagogica ha oggi come punto di arrivo la configurazione di una scuola come vuoto contenitore, dove gli alunni si auto-educano al di fuori di un progetto che promuova e valorizzi le differenze di gender.

La diffusione di questi processi ha dei riflessi che sono poco studiati, anche se ne sono evidenti i sintomi. Le nuove generazioni fanno sempre più fatica a identificarsi in un gender definito quando entrano nell'età adulta. Anche se sessualmente si percepiscono chiaramente come maschi o come femmine, non sanno come comportarsi in quanto uomini e in quanto donne. E così abbiamo eterni ragazzi ed eterne ragazze che giocano ancora a 40 o 50 anni con la loro identità di gender.

Considerate le problematiche cui una società di questo tipo è destinata ad andare incontro, e cioè le confusioni di ruolo, le patologie relazionali, i conflitti e le incomprensioni fra i sessi, non è difficile attendersi che gruppi e associazioni di famiglie particolarmente sensibili al tema della differenziazione di gender si possano mobilitare. E' più che ovvio osservare che una mobilitazione per un qualche ritorno a modelli del passato non ha senso. La direzione da intraprendere è piuttosto quella della costruzione di una cultura che valorizzi il gender attraverso forme adeguate di differenziazione e integrazione fra i sessi. E' ciò di cui vorrei parlare nelle conclusioni.

 

5. Verso una nuova cultura di gender: quale interdipendenza fra i sessi?

5.1. Siamo nel mezzo dei paradossi. Da un lato, c'è chi reputa che la differenziazione sia in linea di principio negativa, che non ci sia abbastanza uguaglianza (dunque anche uniformità di trattamento) fra donne e uomini. Dall'altro, c'è chi pensa che un grado troppo elevato di uniformità non sia né possibile né desiderabile, e che comunque attuare una crescente omologazione conduca a effetti negativi, quando non perversi.

Ciò che sembra estremamente difficile è produrre una società che riesca a generalizzare certi valori (comportamenti, attese, trattamenti) uguali per entrambi i generi, mentre al contempo riesca a perseguire una maggiore articolazione dei ruoli e della struttura sociale e dell'individualità psicologica che rispetti la specificità di ogni gender. Manca una valutazione che consenta di vedere reali progressi di civilizzazione nei rapporti sociali di gender.

La omogeneizzazione procede attraverso un codice simbolico che semplifica l'uguaglianza anziché renderla più aderente alla specificità dei contesti, e quindi produce conflitti crescenti, anche se spesso più latenti che manifesti. Di fatto, si nota che gli adulti sono largamente permissivi verso i figli (chiedono loro di meno per la vita familiare e lasciano loro più ampi margini di libertà, senza distinguere fra i sessi), e quindi non fanno dell'educazione una questione di gender, mentre invece mostrano rigidità e diventano più conflittuali come partner nella coppia coniugale (conflitto di gender) rispetto alle generazioni precedenti. In altri termini, si viene educati come se la differenza di gender non esistesse, mentre poi la differenza ricompare nella coppia. La differenziazione, là dove si produce o riproduce, viene usualmente gestita secondo un codice simbolico binario che è basato sulla asimmetria dei generi, cioè propone una relazione di potere di un sesso sull'altro (la lotta per la supremazia di un gender sull'altro, non necessariamente del maschile sul femminile, ma anche in senso contrario), che nella maggior parte dei casi genera dipendenza o litigio.

In carenza di una elaborazione teorica e culturale sulla differenza di gender, assistiamo ad una crescente matrifocalità della famiglia e ad una de-virilizzazione del maschio, con il diffondersi di personalità di confine che soffrono per la mancanza di una chiara identità di gender e di una adeguata capacità relazionale.

É allora giunto il momento di cercare una nuova interpretazione di tutto ciò.

5.2. Il futuro della società è fortemente legato al futuro della famiglia, e il futuro della famiglia dipende in gran parte da come la cultura elabora le identità e le relazioni di gender. Già oggi si vede che, laddove la famiglia si dissolve, viene a galla una società tribale in cui il processo di civilizzazione è messo seriamente in forse, quantomeno subisce un arresto. Dietro tale dissoluzione non c'è tanto l'eterno conflitto fra i sessi, che ha sempre arricchito l'umanità, quanto piuttosto l'emergere di un individuo androgino, di gender anonimo, che non ha famiglia. L'identità di gender - divenuta altamente problematica - si rende disponibile per tutti gli usi. Proprio come la vuole il mercato delle merci di ogni gender.

Ma con le identità e le relazioni umane di gender non si può giocare allo stesso modo che si gioca con altri oggetti.

La società non può sostenere le esigenze della civilizzazione se non configura dei modelli culturali che diano ai due sessi una identità di gender significativa, sufficientemente stabile e definita, lungo il ciclo di vita. Questa identità è suscettibile di variazione, certamente. Se così non fosse, non sarebbe possibile una progressiva umanizzazione. Ma l'umanizzazione del gender richiede che siano soddisfatte certe condizioni basilari.

L'identità di gender è sia personale, sia familiare, sia sociale. Sta nell'intreccio fra soggettività (personalità), cultura (modelli di valore e di comportamento) e relazioni sociali (agire nei ruoli e negoziazioni relative).

La donna ha i suoi vissuti, legati alla sua struttura corporea, e tende a valorizzare le persone e le cose in rapporto a questa struttura, che ha - volenti o nolenti - nella maternità la sua peculiarità. Ha una funzione giudicante di tipo avvolgente, cioè interviene dentro la relazione con gli altri, non è mai disposta alla rottura totale, è incline a ricomprendere tutto nell'affetto. L'uomo ha i suoi vissuti, correlati alla sua struttura corporea, e tende a valorizzare persone e cose a suo modo, cioè facendo riferimento alla forza delle attività e dei loro risultati. Ha una funzione giudicante di tipo "penetrante", caratterizzata dal fatto di seguire una logica che persegue delle mete, e non è disposta a scambiarle con l'affetto o una relazionalità avvolgente. I due sessi hanno processi interpretativi diversi, che assolvono anche funzioni diverse. Una società può privilegiare un codice simbolico o l'altro, oppure tentare una sinergia fra i due. Ciò che non può fare è annullare le differenze. In una prospettiva normativa, ciò che più conta è l'interpretazione peculiare che ogni cultura storica dà ai due codici simbolici maschile e femminile e alle loro relazioni.

La modernità ha privilegiato una lettura indubbiamente maschile (per non dire maschilista) della differenza di gender e della famiglia come relazione sessuata. Ha visto in un certo senso tutto con le lenti maschili. La modernità ha privilegiato la razionalità, l'acquisività, la competizione, il dominio sulla natura.

Con la crisi della modernità, la donna viene alla ribalta come soggetto e oggetto di nuovo interesse. Sembra che il post-moderno abbia una particolare inclinazione, un peculiare affetto per la donna. Il codice simbolico post-moderno tende a privilegiare il polo femminile, sebbene non in quanto materno. La costruzione fictional della donna è oggi uno dei fattori più importanti nella decostruzione del soggetto razionale moderno. Ciò avviene sia esaltando il femminile come categoria astratta, sia rivendicando la figura della donna come essere storico concreto, cioè rivendicando il carattere contestuato del self femminile, il fatto che la donna sia un soggetto in cui corpo e anima sono situazionalmente relazionati più di quanto non accada nell'uomo.

Tutto il pensiero occidentale è oggi impegnato a rivedere la modernità come lettura sessuata, precisamente al maschile, del mondo. Le maggiori correnti culturali degli ultimi due secoli, come l'umanesimo illuminista, lo strutturalismo e la stessa psicoanalisi, vengono accusate di maschilismo e se ne propone un ribaltamento nell'ottica femminista. Il progetto è quello di decostruire tutte le categorie dell'umanesimo moderno, inclusa la categoria delle donne in generale, come categorie falsamente inclusive e totalizzanti. Le fissazioni della post-modernità assumono un tono decisamente femminile. La nota tesi della psicoanalisi (in particolare di Jacques Lacan) secondo cui la donna è un sintomo dell'uomo, viene rovesciata: è l'uomo a diventare sintomo della donna. La donna diviene la garante dell'essere e dell'esistenza dell'uomo stesso, precisamente perché c'è qualcosa in lei che sfugge alla relazione con l'uomo.

In breve, la decostruzione post-moderna viene a dire: la donna non viene dopo, ma prima dell'uomo; essa non deriva dall'uomo, ma, al contrario, essa è ontologicamente indipendente da lui, mentre lui dipende da lei. La perdita dell'uomo è il guadagno della donna: è lei che emerge come potente, bella e minacciosa.

Da un lato, questa rivoluzione culturale post-moderna all'insegna del femminile spazza via tanti concetti e modelli più o meno maschilistici su cui la società moderna ha costruito le sue fortune. Dall'altro, porta all'emergenza certi tratti culturali, di attenzione alla persona concreta contestualizzata, alla sua relazionalità, al suo intimo rapporto anima-corpo, che sono indubbiamente tratti di umanità, in cui si esprime l'aspetto migliore del carattere femminile. Ma vi sono anche versioni meno poetiche del femminile. Si tratta di atteggiamenti e rivendicazioni che mettono in crisi l'identità maschile, che creano nell'uomo una condizione di incertezza, di smarrimento e perfino di paura. Il maschio, allora, si ritira dagli impegni e spesso scompare. Dove sono andati a finire i papà? si chiedono oggi gli europei riferendosi ai milioni di bambini che, a seguito delle crisi coniugali, non vedono più i loro padri. Una società sempre più ideologicamente femminilizzata e di fatto matricentrica inizia a interrogarsi sul suo destino. Che cosa potrà succedere se la figura della donna diventasse dominante su quella maschile, al punto di trasformare la famiglia in un affare sempre più e solo di donne? Che la società futura, come la città di Federico Fellini, sia delle donne?

La modernità, dopo aver funzionalizzato la differenza di gender al disegno della società borghese, ha visto nella diversità di gender un paradosso, cioè ha letto la differenza come irrazionale. Ora si ritrova con i cocci di una relazione fra i generi che insegue l'uguaglianza insistendo nel pensarsi attraverso asimmetrie che esaltano talora certe qualità maschili e talaltra certe qualità femminili, ma sempre ponendo le une contro le altre. Quando sembra che sia giunta la pace fra i sessi, si constata di essere alla presenza di una specie di ermafrodito. E' questo il destino dei rapporti di gender? Penso di no. Chi crede all'evoluzione potrebbe far osservare che mutazioni in tal senso sono sempre possibili, ma allora, io ritengo, la società umana diventerebbe non-umana.

Il dibattito odierno sulla diversità di gender parla molto di attrazioni e repulsioni, di uguaglianze e disuguaglianze, di sovrapposizioni e distanziamenti, di priorità fra un sesso e l'altro. Ma ha, fra gli altri, un difetto di fondo: ignora completamente la famiglia. Parla del rapporto fra i sessi come se stessimo assistendo ad un film holliwoodiano. La soap opera che viene messa in scena può ben attrarre una larga audience, ma resta nondimeno una evasione. Nei mondi vitali della gente comune la morfogenesi di gender della famiglia ha ben altro segno e concretezza. Che le famiglie siano alquanto stordite e obnubilate dalla fiction post-moderna è indubbio. Ma qui vogliamo ipotizzare che, nonostante ciò, siano in atto nuove strategie di gender tendenti a dare alla famiglia un carattere sessuato nel quale donne e uomini possano rispecchiarsi con la loro specificità, originarietà, originalità, in una dualità vissuta come fonte di arricchimento e non di contrapposizioni e menomazioni per entrambi.

La dualità di gender è relazionale. Come afferma Giovanni Paolo II (1985), l'uomo è creato sin 'dal principio' come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività - delle piccole comunità come dell'intera società - porta il segno di questa dualità originaria. La dualità maschio/femmina non è però da vedere in termini antagonistici, bensì come struttura (opposizione polare direbbe R. Guardini) che è condizione di una relazionalità, in cui si dispiega l'umano. Dire che femminilità e mascolinità sono tra loro complementari anche a livello ontologico, e non solo fisico e psichico, significa riconoscere l'importanza specificatamente umana dell'unione fra corpo e spirito che c'è nell'uomo e nella donna, e quindi riconoscere che l'umano si realizza appieno nell'uno e nell'altra grazie alla loro dualità.

Bisogna qui fare molta attenzione. A lungo, il pensiero filosofico e teologico ha enfatizzato la differenza di gender come distinzione ontologica che poneva un iato profondo fra due tipi di esseri umani in sé, per certi aspetti, incompleti (per la verità soprattutto riferendosi alla donna come essere dipendente dall'uomo). L'immagine pratica che se n'è data è stata quella di due mezze mele che devono unirsi per fare una mela intera (fatta eccezione, e sempre più per gli uomini che per le donne, per chi riceveva una specifica vocazione religiosa). La cultura moderna ha avuto, se non altro, il merito di aver portato avanti una riflessione che ha mostrato come le cose non stiano proprio così. Le caratteristiche socio-culturali che sono annesse al sesso non sono dell'ordine dell'ontologico più profondo. Sono determinazioni esistenziali. La dualità di gender è dell'ordine dell'esistenza, non dell'essere umano in quanto tale. Quando si dice che il sesso è costitutivo della persona, e che c'è una relazione significativa fra sesso e gender della persona, e così quando si afferma che negli esseri umani il sesso-gender è un fattore di reciproco completamento delle persone, ci si riferisce non già alle persone in quanto persone (ossia in quanto soggetti umani), ma in quanto relazioni (a compiti): maschi e femmine si completano reciprocamente nel fare, nell'agire, dunque nel relazionarsi, non nell'essere soggetti-persone.

Che siano uomini o donne, gli esseri umani hanno interamente in sé la completezza della natura (ontologica) umana. Gli aspetti sessuali e sessuati precisano un modo di determinarsi di una stessa natura che ha la sua autonoma soggettività sia nel caso si tratti di un uomo sia che si tratti di una donna.

Oggi più di ieri è chiaro che i due generi sessuali appartengono entrambi al comune gender umano. Quando la cultura odierna, dietro un'apparente omogeneizzazione, viene affermando che maschile e femminili sono due dimensioni indipendenti e coesistenti nelle persone di entrambi i sessi, afferma qualcosa di positivo che deve essere ben interpretato, cioè letto relazionalmente. Gli studi empirici, psicologici e sociologici, sulla percezione del self, del resto, attestano che i singoli individui concreti, pur collocandosi normalmente nell'uno o nell'altro gender, possono avere accesso e sviluppare anche caratteri dell'altro gender.

In altri termini, l'umano si distingue in maschile e femminile senza che possa essere, per così dire, ripartito a metà fra i due. L'umano è interamente nell'uno e nell'altro gender, benché in modi esistenzialmente diversi.

Quando usiamo le distinzioni uomo/donna, ovvero identità (=umano) / differenza (=gender), bisogna fare attenzione a non contrapporre i due lati, ma a gestirli relazionalmente. La distinzione vale nell'unità della differenza. Il che significa che la differenza (di gender) ha senso per riferimento all'identità dell'umano, non per divisione o separazione rispetto ad esso, il che condurrebbe dritto dritto ad una diversità senza senso umano.

Perciò, quando si parla di dualità, bisogna specificare bene la semantica che si sta utilizzando. Una semantica realmente personalista non può trattare un gender come l'appendice, il risvolto, il sintomo dell'altro gender, ma come realtà in cui l'umano si esprime interamente in modo, appunto, sui generis. E' sul piano delle funzioni, in particolare – ma non solo – quelle procreative e familiari, che una pienezza deve cooperare - deve definirsi relazionalmente - con l'altra pienezza, altrimenti non viene prodotto il bene comune (il figlio come bene relazionale, la stessa famiglia, altri beni relazionali nella società).

Non c'è dubbio che, rispetto alle concretizzazioni storiche sinora assunte dalla differenza di gender, dalla società antica fino a quella moderna (inclusa), c'è molto da ripensare circa la semantica di ciò che costituisce un gender, vista come insieme di significati simbolici che devono allo stesso tempo conferire una identità personale e assolvere compiti sociali per i quali si richiede uno scambio di doni diversi, equivalenti simbolicamente, per la creazione di un bene che, per essere relazionale, può essere prodotto e fruito soltanto assieme.

5.3. Nel corso della storia, hanno prevalso nella società due grandi codici simbolici, sullo sfondo dei quali vorrei evidenziare l'emergere di un terzo codice simbolico.

I) Il primo codice è quello gerarchico-duale pre-moderno, tipico delle società tradizionali, che configura la polarità fra i sessi come relazione di dipendenza asimmetrica: il maschio è in posizione gerarchica dominante e la donna è vista come una sua appendice.

Questo modello ha avuto le sue virtù e le sue patologie. Esso ha consentito una valorizzazione e anche una libertà di entrambi i sessi, sia nella sfera familiare sia nella comunità intorno, che i moderni hanno sottovalutato. Per contro, è diventato patologico allorché l'attribuzione di un ruolo strumentale all'uomo e di un ruolo espressivo alla donna è stata esasperata. Questo tipo di relazionamento è divenuto disfunzionale agli effetti della partecipazione di uomini e donne alle dinamiche di sviluppo di una società che richiede l'apporto di entrambi i generi, sia nella famiglia sia altrove. La patologia nasce allorché l'asimmetria fra i generi non significa più una complementarità che presenta confini e sinergie da un lato e dall'altro, ma comporta esclusione e subordinazione di un gender rispetto all'altro. La modernità avanzata mette apertamente in crisi la posizione della donna come posizione funzionale a quella dell'uomo. Non è più possibile che l'uomo sia considerato come l'origine e la donna come il derivato. In molti aspetti della vita sociale diviene manifesto ciò che un tempo si celava dietro la figura della complementarità, e cioè che l'uomo si riferisca a se stesso passando per il riferimento alla donna, la quale rimarrebbe così una categoria residuale e negata (un altro privo di identità autonoma). Diventa perlomeno assurdo pensare che la donna rappresenti il lato irrazionale e arbitrario di una distinzione che vede l'uomo come la parte razionale e capace di autocontrollo.

II) Il secondo codice simbolico è quello ugualitario-simmetrico moderno: la modernità ha messo in causa l'assetto duale-gerarchico tradizionale, sottolineando i diritti dell'individuo come tale. Ha posto uomini e donne, almeno tendenzialmente (ideologicamente), sullo stesso piano. Così soprattutto per la politica e il mercato. Ma questo codice non è tale da cogliere la specificità dei due sessi nei mondi vitali. Non dà ragione della loro diversità quando sono in gioco emozioni, sentimenti, giochi di reciprocità, scambi e interazioni a livello non-politico e non-economico. Ancor oggi siamo sotto la prevalenza di questo codice delle libertà individuali e collettive (autonomiche) dei singoli generi, che storicamente si è concretizzato nel modello liberale, altamente pragmatico, rispetto a cui il marxismo ha dato un ulteriore impulso, specie laddove il marxismo è stato interpretato da un punto di vista di emancipazione liberale (come è avvenuto negli Usa e, da qualche tempo, anche in Italia).

Anche questo modello presenta le sue virtù e le sue patologie. Esso ha consentito un'emancipazione individuale e collettiva senza precedenti della donna, ora considerata quale soggetto di pari dignità ed uguali diritti di cittadinanza nei confronti dell'uomo. Le patologie si sono rivelate nel momento in cui questo indirizzo ha condotto all'autoreferenza (o relazione autonomica) di entrambi i sessi: quando la donna e l'uomo sono apparsi l'uno una macchia cieca per l'altro. Si è così giunti ad una situazione, quella attuale, che può essere vista come una relazione di stallo, in cui uomo e donna sono due soggetti autoreferenziali che non si com-prendono più, anche se si comunicano tante cose. L'individualismo sviluppatosi in questo codice simbolico fa sì che donne e uomini non si vedano come alterità, anche se interagiscono fra loro. I due generi diventano due cecità, il che significa poi in pratica isolamento, separazione uni-gender, vivere da soli (single), oppure vivere in reti sociali anche dense di comunicazioni ma prive di una relazionalità capace di sinergia e co-operazione.

Dati i limiti di spazio di questo contributo, non mi è qui possibile insistere nella descrizione di queste patologie, tipiche della modernità avanzata. La mia ipotesi è che, specie nelle correnti più avvertite del neo-femminismo post-radicale, si avverta la necessità di una nuova riflessione su come uscire dall'impasse di un processo di omologazione fra i gender, ovvero di circolarità entro ciascun gender, che diventa una gabbia per entrambi i sessi. La soluzione sta in un nuovo orientamento relazionale. A questo proposito, però, occorre avanzare un chiarimento circa il carattere relazionale del discorso neo-femminista. Vi sono oggi interessanti sviluppi di pensiero femminista sulle relazioni di gender che mettono l'accento sul pensare il gender nelle relazioni. A mio avviso, ciò non è sufficiente. Alla cultura femminista si richiede un ulteriore salto di qualità. Si tratta, infatti, a mio parere, di pensare il gender come relazione, il che vuol dire con e attraverso le relazioni, cosa che spesso il femminismo dimentica. Cosa ciò significhi è quanto vorrei dire qui di seguito.

III) Il terzo codice simbolico cui faccio riferimento, e che vedo come emergente, è quello della interdipendenza relazionale fra i due generi, ispirata alla loro reciproca personalizzazione. Questo codice compare, almeno potenzialmente, con la società dopo-moderna. In questo codice la differenziazione di gender si basa sul riconoscimento - il più pieno possibile - di una reale alterità, né dualistica né residuale, ma similare fra uomo e donna. Di qui l'emergere di una nuova ricerca, quella per una diversa relazionalità fra i generi e di gender: una relazionalità che, mentre li considera uguali per gli aspetti fondamentali relativi alla dignità umana, ne deve anche preservare e promuovere i diversi vissuti interiori, le diverse configurazioni di personalità, mettendo a disposizione norme sociali e regole di interazione che ne rendano possibili le espressioni proprie. E' qui che nasce la ricerca di una unità relazionale nella diversità di gender, che caratterizza il neo-femminismo più maturo. Tale ricerca consiste nell'affermazione di uguali diritti-doveri giuridici e morali che rimanda ad una lettura relazionale dei contenuti e delle forme di attuazione di tali diritti-doveri, e che - proprio perché relazionale - non si traduce in asimmetrie penalizzanti per l'uno o per l'altro gender.

Anche questo modello presenta le sue virtù e le sue patologie. Esso consente di rendere più leggere le asimmetrie di gender. Le rende anche reversibili quando ciò sia possibile. La relazione, quindi, si ispira ad una somiglianza fra i sessi che significa pari dignità, e quindi pari diritti umani, senza con ciò produrre uniformità di trattamento. Interdipendenza relazionale significa complementarità di compiti (non delle persone), reciprocità inter-attiva, possibilità di attraversare le differenze di gender tutte le volte che ciò significhi attingere un'identità umana più profonda senza negare la propria peculiarità bio-psichica.

Le patologie si connettono qui al fatto che la relazionalità può essere mal gestita. Laddove si richiedono gerarchie, un eccesso di relazionismo può diventare disfunzionale. Laddove sia necessario limitare l'individualismo (e il narcisismo), cioè uscire da quelle forme di falsa relazionalità che si traducono nel vedere l'altro in funzione di sé, l'incapacità di bilanciare auto e etero-referenzialità può condurre a circolarità confusive. Se, però, l'interdipendenza viene gestita come distinzione capace di opportune reversibilità delle stesse differenze, il codice relazionale può raggiungere un livello insieme di elevata funzionalità interna e di adeguata capacità di risposta alla richieste che provengono alla coppia e alla famiglia da una società estremamente complessa in tutte le sue interdipendenze (interne ed esterne alla famiglia).

5.4. Per concludere. Gestire la differenza di gender diventa articolare una connessione (relazione uomo-donna) attraverso distinzioni che devono valorizzare allo stesso tempo l’identità e la sinergia delle appartenenze, delle scelte, delle connotazioni che qualificano il maschile e il femminile.

Per la cultura oggi dominante, solo l'attraversamento delle distinzioni maschile/femminile sembra poter arricchire l'umano. E per questo i confini si spostano continuamente. Ma non è così. Attraversare i confini e invertire le identità provoca grandi sofferenze e patologie. Quando poi entra in gioco la famiglia, ci si accorge che è la distinzione come tale - cioè l'appartenenza ad un preciso lato della medaglia (maschio o femmina, uomo o donna) - che fa crescere l'umano. Per tale ragione i confini vengono continuamente ricreati.

La famiglia fa certo più fatica di un tempo a maneggiare questo codice simbolico. Spesso si lascia semplicemente andare. Però, con tutte le sue difficoltà, la famiglia diventa il luogo precipuo di questa nuova gestione relazionale delle differenze di gender. Il luogo in cui la reversibilità può essere tentata, ma anche il luogo dove la differenza deve essere ben presto definita, se non si vuole continuare a litigare senza posa. In ogni caso, nella coppia le aspettative reciproche debbono essere stabilizzate al più presto, onde non incorrere in patologie comunicative e relazionali.

La domanda: questa certa cosa pertiene all'uomo o alla donna ? non riceve più le stesse risposte di un tempo, e soprattutto non le riceve più in modo coerente e omogeneo nell'ambito familiare e in quello extra-familiare. La famiglia deve andare contro corrente, perché tutto nella società milita contro il suo codice simbolico della differenza di gender.

In certi ambiti funzionali (scuola, lavoro, tempo libero), può essere che si richiedano - come di fatto avviene - uomini e donne senza precise qualità di gender. Ma non è così quando si tratta di fare famiglia. Se la differenza non viene riconosciuta nella società, ciò che si sacrifica è l'autenticità del proprio gender, che viene svalorizzato o a cui comunque si nega una qualità. Nell'ambito familiare, se la qualità sessuale non viene valorizzata, o almeno riconosciuta, si incorre nell'alienazione e nella patologia.

Ogni ambito relazionale deve comunque dare le sue risposte alla differenza di gender. Queste risposte, nonostante tutto, hanno in comune un imperativo etico: conosci le due strade, le due soluzioni, le due modalità, maschili e femminili, e confrontale, perché lì - nel confronto relazionale - trovi il confine e la specificità del tuo essere di un gender o dell'altro. Nella società, l'attraversamento dei confini fra maschile e femminile ha certe regole, che oggi accrescono la loro flessibilità; per esempio, le occupazioni lavorative possono essere scambiate più facilmente di un tempo fra i due generi. Ciò comporta, comunque, sempre dei vantaggi e dei costi, dei guadagni e dei rischi. La propria specificità di gender può essere arricchita o andare perduta. Nella famiglia l'attraversamento ha altre regole, che si formano attraverso il dialogo coniugale, un dialogo che rinegozia e approfondisce continuamente un legame particolare, sconosciuto fuori del contesto familiare. Laddove c'è maggiore competenza comunicativa si possono portare le differenze ad un livello più soddisfacente per entrambi i partner.

Alla fine, la specificità della famiglia come relazione sessuata trova una sua riemergenza nel fatto di essere relazione di una differenza, quella di gender, che rappresenta in modo paradigmatico la fecondità della reciprocità umana. Ciascun gender dona all'altro il suo specifico, come alterità. Dire se ci si trovi di fronte ad una alterità autentica oppure falsa non è certamente facile. Ma lo si può vedere nel fatto che viene all'esistenza, oppure no, il bene relazionale della famiglia, cioè una vita comune che arricchisce entrambi. Di tale bene relazionale, familiare, il figlio è il simbolo e la realtà più concreta e vitale. La ricchezza del dono del proprio gender specifico, anche attraverso il conflitto e la negoziazione, è ciò che non cessa di rendere la differenza di gender attraente e nello stesso tempo vera, se si vuole fare ed essere famiglia umana.

 

Bibliografia di riferimento 

Donati, P. (2003) Manual de Sociología de la Familia. Pamplona:Eunsa.

Giovanni Paolo II (1985) Uomo e donna lo creò: catechesi sull’amore umano.Roma: Città Nuova Editrice.

Stein, E. (1957) Formazione e vocazione della donna. Milano: Corsia dei Servi. (Edizione originale nel 1953).

 

Nota al riguardo dell’autore

Pierpaolo Donati é o fundador da sociologia relacional. É docente de sociologia junto à Faculdade de Ciências Políticas da Universidade Bologna (Itália). È diretor do Centro de Estudos de Política Social e Sociologia Sanitária da mesma Universidade. Autor de mais de 500 publicações em língua italiana e outros idiomas. Presidente da Associação dos Sociólogos Italianos. Contato: donati@spbo.unibo.it

 

Data de recebimento: 20/02/2007
Data de aceite: 30/10/2007

Memorandum 12, abril/2007
Belo Horizonte: UFMG; Ribeirão Preto: USP

ISSN 1676-1669
http://www.fafich.ufmg.br/~memorandum/a12/donati02.htm

 

 

 

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