D'Angelo, B. (2002) Dante, Borges e il libro. Memorandum, 3, 5-13. Retirado em   /  /  , do World Wide Web: http://www.fafich.ufmg.br/ ~memorandum/ artigos03/ dangelo01.htm.

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Dante, Borges e il libro
 
Dante, Borges and book
 
Biagio D’Angelo
Pontificia Universidad Católica del Perú
Universidad Católica Sedes Sapientiae
Perú
 
 

Riassunto

L’articolo tratta del libro come documento scritto indispensabile per il perdurare eterno della memoria storico-collettiva. Vengono analizzati due autori che hanno reso il discorso sul libro e, di conseguenza, sulla Lettura, un metadiscorso etico e didattico-moraleggiante. Borges e Dante, diversissimi tra loro, lontani temporalmente e indicativi della cultura occidentale di matrice eurocentrica, ci permettono di riconsiderare il libro come un oggetto vivo, attuale, un frammento del mondo dotato di una propria personalità, che vive della e nella memoria.

Parole chiave: libro; memoria storico-collettiva; lettura; Borges; Dante; raccontare.

Abstract

The article approaches the question of the book as a written document, indispensable for the eternal duration of historical-collective memory. Two authors are analyzed here. Both worked on and about the book and, consequently, on reading, and developed an ethic and didactic-moral metadiscourse. Borges and Dante, very different from each other, temporally distant and representatives of the Western culture of eurocentric origin, allow us to reconsider the book as a living, current object, a fragment of the world that possesses its own personality, which lives through and by memory.

Keywords: book; historical-collective memory; reading; Borges; Dante; story telling.

   

In un’epoca telematica, in cui alla comunicazione lenta, ponderata, suggestiva si è preferito la forma celere della connessione a Internet, la natura originale del libro è stata seriamente posta in discussione. Il premio Nobel per la letteratura, Nadine Gordimer, in un recente intervento al congresso internazionale dell’ICLA (Associazione Internazionale di Letteratura Comparata), nell’agosto 2000 all’università del Sudafrica di Pretoria, ha sostenuto l’importanza quasi vitale, organica della parola scritta e del libro come documento indispensabile per il perdurare eterno della memoria storico-collettiva (Yates, 1966; Florés, 1972; Le Goff, 1979). Senza la conferma per iscritto del primo versetto del Vangelo di San Giovanni, "In principio il Verbo era Dio ed era presso Dio", definitivamente suggellato nella Bibbia, non avremmo oggi quella forza unica della scrittura, tanto da essere temuta ed evitata, censurata e bistrattata, abusata e violentata. Non si può tacere in questa sede l’importanza che la scrittura ha rivestito nelle società orientali (ricordiamo le storie ad salvationem di Shehrazad nelle Mille e una Notte o le pseudo fiabe raccolte dalla memoria collettiva dell’Estremo Oriente e ricompilate da Marguerite Yourcenar, o ancora le impressionanti analogie tematiche sul mito riscontrabili nei grandi blocchi culturali est/ovest come il mito di Arianna che è possibile ritrovare addirittura in un racconto giapponese).

Il diletto e il giovamento della lettura sono stati largamente commentati poeticamente da Italo Calvino, che ha lasciato, in "Se una notte d’inverno un viaggiatore" (1979), un saggio della sua verve ironica e della sua attitudine di maestro di teorie senza mai cadere nell’aridità della letterarietà, rischio usuale di un certo accademismo. Calvino, che era innanzitutto un appassionato lettore, sosteneva la "necessità" di vivere l’esperienza della lettura come un momento irripetibile, unico, dell’arricchimento spirituale dell’individuo. Non esagerava nel richiedere al lettore di procurarsi un posto comodo e poi abbandonarsi al piacere del testo, cioè della lettura: seguire le parole scritte, affidare tutto se stesso al racconto proposto, lasciare affascinare dalla trama, dai personaggi, magari identificarsi con uno di essi. Non a caso, inoltre, la lettura è spesso percepita e vissuta come un viaggio intimo, coraggioso, dentro il testo, che dev’essere affrontato per la possibilità imparagonabile di diventare un altro personaggio, forse un eroe, e che permette, attraverso il riconoscimento dell’altro, di diventare più se stesso. La famosa espressione flaubertiana, "Madame Bovary, c’est moi!", raffigura l’atteggiamento consapevole dell’autore/lettore che vive e si nasconde negli abiti dei personaggi da lui creati. Il libro è dunque un’ipotesi nobile e privilegiata di lavoro personale, sempre che scopo di tale lavoro vada più in là di un banale piacere epicureo e senza ragioni.

Il libro non è divisibile dall’azione della lettura; ad essa segue inevitabilmente il processo ermeneutico, consapevole o meno; ma soprattutto il libro è simbioticamente legato al verbo "raccontare". Un libro racconta qualcosa, anzi deve raccontare una storia di cui è costellata la vita di ogni individuo. Il racconto è una forma ancestrale di comprensione degli avvenimenti (poco importa la dimensione dell’evento) di cui la vita è intessuta. Se da una parte, il racconto è lo strumento che consente di partecipare alla vastità e alla complessità dell’esperienza umana, dall’altra, è lo strumento privilegiato attraverso il quale si permette agli altri di accedere al mondo personale, anche a quello più privato e intimo. Ogni racconto, ogni forma del raccontare, ogni libro rivestono la funzione a cui assolveva il mito anticamente. Sotto forma di libro e di racconto (mantengo unite le due nature formale e contenutistica) si conserva e si trasmette la nostra memoria collettiva, cioè la memoria di un’intera società e, a un livello ancora superiore, quella di un’intera civiltà (Halbwachs, 1950). Basti pensare alla singolare forma di narrazione che è il mito, con cui i popoli dell’antichità hanno tramandato il loro modo di osservazione e di conoscenza del mondo (i miti greci sulla nascita dell’universo, degli dei e dell’umanità sono l’esempio più lapalissiano) e un altro "recipiente" culturale come la fiaba, che ha spesso sintetizzato il costume e la credenza di una società tradizionale, sotto la specie della poesia lirica o dell’immaginario popolare.

Tra gli autori che hanno riflettuto sulla natura del libro e del suo essere depositario di valori culturali e strutturali all’uomo, prenderemo in considerazione solo due: si tratta di Borges e Dante, che pur se diversissimi tra loro, lontani temporalmente e indicativi della cultura occidentale di matrice eurocentrica, hanno reso il discorso sul libro e, di conseguenza, sulla Lettura, un metadiscorso etico, o se vogliamo didattico-moraleggiante. Borges e Dante rappresentano in un certo qual modo le figure esemplari di quella coscienza e memoria collettive di cui il mondo occidentale, ma non solo quello, è depositario.

Sia per Borges che per Dante la metafora rappresentativa dell’universo è il libro. Il valore assoluto è dato dal bisogno della ricerca del libro primo, motore dei rimanenti, finiti libri, e dall’esistenza certa del libro primo, che Dante, medievale, tomista, cristiano, contemplerà al termine del suo viaggio.

Borges scrive ne "La biblioteca di Babele", uno dei suoi racconti più famosi, che come tutti gli uomini abitanti della Biblioteca del mondo, anche lui ha viaggiato, ha "peregrinato in cerca di un libro, forse del catalogo dei cataloghi" (1988, p. 66). Una spinta, questa, dovuta all’incancellabile esigenza di incontrare la Verità, anche se il viaggio è dentro e attraverso un numero di volumi interminabile, infinito:

La Biblioteca esiste ab aeterno. Di questa verità, il cui corollario inmediato è l’eternità futura del mondo, nessuna mente ragionevole può dubitare. L’uomo, questo imperfetto bibliotecario, può essere opera del caso o di demiurghi malevoli; l’universo, con la sua elegante dotazione di scaffali, di tomi enigmatici, di infaticabili scale per il viaggiatore e di latrine per il bibliotecario seduto, non può essere che l’opera di un dio. Per avvertire la distanza che c’è tra il divino e l’umano, basta paragonare questi rozzi, tremuli simboli che la mia fallibile mano sgorbia sulla copertina di un libro, con le lettere organiche dell’interno: puntuali, delicate, nerissime, inimitabilmente simmetriche (pp. 67-68).

Borges ci invita alla lettura, perché l’esperienza inarrivabile di essa può provocare una straordinaria "felicità mentale", per dirla con le parole di Maria Corti, che non è facile rivivere negli atti imperfetti a cui soggiace l’esistenza. Dunque, una lettura salutare e terapeutica.

Borges non teme affatto di poter essere ritenuto quasi anacronistico, quando afferma che un libro (o un testo) letterario non può essere considerato come un sistema chiuso, di cui l’autore è l’unico decifratore e l’unico detentore della chiave di volta. Considerare un libro come un sistema dalla logica serrata, perimetrale, equivale a distruggere il libro nella sua essenza di opera aperta, secondo la terminologìa di Eco; ciò che è ancora più affascinante è che l’operazione della lettura provoca "ripercussioni incalcolabili" (Paoli, 1992, p. 9), in cui il lettore aggiunge granelli interpretativi nuovi alla ricerca constante e mai appagata del libro.

Quando si proclamò che la Biblioteca comprendeva tutti i libri, la prima impressione fu di straordinaria felicità. Tutti gli uomini si sentirono padròn di un tesoro intatto e segreto. Non v’era problema personale o mondiale la cui eloquente soluzione non esistesse in un qualche esagono. L’universo era giustificato, l’universo attingeva bruscamente le dimensioni illimitate della speranza. (p. 70)

Secondo Borges, l’uomo ha tentato afferrare e possedere quel libro, senza che gli fosse possibile, oscurando e vanificando quelle "ripercussioni incalcolabili" che il processo della lettura avrebbe scatenato, fino alla blasfema identificazione di sè con il libro. "La Biblioteca è così enorme che ogni riduzione d’origine umana risulta infinitesima" (p. 71) sostiene l’autore argentino. Perciò la ricerca del libro è un’operazione fondamentale, perché strutturale all’uomo, ma la Biblioteca perdurerà incorruttibile e segreta come sempre.

La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). (p. 74)

Dietro la massiccia metafora della Biblioteca, Borges ci addita che il cammino necessario e quasi impellente dell’individuo alla ricerca del dio nascosto nelle pieghe dei libri è l’atto sacro della lettura. La completezza e la gratificazione del vivere potrebbero confluire nella lettura. Paoli riporta un’affermazione "didattica" di Borges, quando insegnava letteratura inglese, una delle letterature meglio conosciute e preferite dallo scrittore di Finzioni:

Nella lettura il piacere debe essere predominante. Quando un libro non v’interessa, dovete lasciarlo inmediatamente, anche se il suo autore è famoso (1992, p. 24).

E’ interessante che questa ricerca attraverso la lettura sia non solo piacevole, ma allo stesso tempo utile: essa corrisponde al processo di conoscimento del reale che sebbene non sia mai del tutto indolore, dev’essere investito di un coraggio, e del senso dell’avventura che la lettura di Stevenson, Kipling e Chesterton avevano senz’altro stimolato in Borges. La felicità borgesiana, come ci ricorda suggestivamente Paoli, "Sta quindi primariamente nel vivere e, solo succedaneamente, nel seguire quegli incerti riflessi della vita che sono i libri" (p. 26).

Il libro si presenta nella poetica di Borges come un universo di citazioni infinite, ripetute, eppure sempre nuove, di modelli che si succedono, di influenze che si percepiscono: un libro è una copia di libri in cui si affermano o si confutano i temi eterni dell’umanità. Il modello di comunicazione borgesiana, che trova nel labirinto e nella biblioteca le metafore più note, consta di un corollario essenziale. Il libro, per la sua natura di elemento concluso e mai definitivo, vive della e nella memoria, cioè di un atto necessario senza del quale il libro non può considerarsi eterno: il ricordo di libri infiniti, letti e riletti, aperti e poi richiusi, si trasforma in memoria e permette di rendere presente e attuale un universo poetico creato, per esempio, durante il Medioevo.

La lezione etica di Borges è che il libro è inseparabile, oltre che dalla lettura, dalla vita stessa, in una misteriosa interazione che è possibile ritrovare in questo frammento rilasciato qualche anno prima della scomparsa:

Tutti gli autori che ho letto, tutto il passato delle lettere e della lingua, tutti hanno influito su di me. Io direi che su uno scrittore influiscono non solo tutti i libri che ha letto ma anche quelli che non ha letto, perfino quelli che gli piacciono meno; in altre parole, la vita influisce in ogni momento. Un uomo, specialmente uno scrittore, è esposto a ogni tipo di influenze. (...) Cos’è uno scrittore, infatti, se non, prima di tutto, un essere particolarmente sensibile ai fatti, alle circostanze della vita? (citato da Paoli, 1992, pp. 170-171).

Il libro, la Biblioteca e lo scrittore sono accomunati dalla facoltà della memoria, una facoltà che si trova intrecciata in molti scritti borgesiani e che rappresenta la responsabilità etica e spirituale dell’uomo, non solo dell’uomo di lettere. Il libro permette la non dimenticanza dell’opera giusta dell’individuo e infatti ad essa Borges si riferisce quando, per esempio, in una sua lirica, descrivendo la Biblioteca di Alessandria, ricorda che i suoi volumi superano di gran lunga il numero degli astri o la sabbia del deserto:

aquí la gran memoria de los siglos
que fueron, las espadas y los héroes,
los lacónicos símbolos del álgebra,
el saber que sondea los planetas
que rigen el destino, las virtudes
de hierba y marfiles talismánicos,
el verso en que perdura la caricia,
la ciencia que descifra el solitario
laberinto de Dios, la teología,
la alquimia que en el barro busca el oro
y las figuraciones del idólatra. (1989, p. 167)

La Biblioteca e, con essa, il suo oggetto più prezioso e necessario -perché senza di questi essa non esisterebbere-, il libro, favoriscono dunque la durata imperitura della dignità dell’uomo, delle sue azioni, delle sue ricerche, del suo tentativo di sapere l’origine della concezione del mondo.

In Dante, uomo esemplarmente medievale, la memoria ha proprio questa consapevolezza: che, cioè , ogni atto vissuto nella pienezza del riferimento divino ultimo, possiede un valore eterno; per questo il libro assume in Dante l’importanza del gesto etico, della responsabilità civile e política, dell’essere "guida spirituale", investito da una forza trascendente che lo chiama alla salvezza.

Il triangolo esistenziale dantesco è così composto ai tre vertici dall’io poetico, dal libro in cui l’io trova realizzazione e infine dalla memoria che unifica e riassetta, purificàndolo, il processo di tensione tra l’io e la sua creazione finita, il libro.

Dante è consapevole, come d’altronde lo era tutta la cultura della quale era imbevuto, del fatto che la memoria sia principio e fine di ogni azione, punto d‘origine di ogni passo esistenziale; come si può leggere nell’incipit della Vita Nuova

In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia (1292-94 / 1965, p. 53).

Così come Dante trova scritte le sue proprie espressioni nella memoria, allo stesso modo Guido Cavalcanti acquista forza e dimensione di partecipazione agli avvenimenti esistenziali grazie all’effetto di permanenza eterna e oggettiva della memoria ("In quella parte dove sta memora / prende suo stato", 1996, p. 116).

In Dante la memoria è sì la capacità di conservare determinate informazioni che gli permettono di rendere attuali impressioni o informazioni del passato, ma è anche la permanenza di Dio dentro la storia dell’umanità, chiaro com’era per un uomo di coscienza medievale. La possibilità di testimonianza e di trasmissione della Verità dell’Incarnazione era esplicitata dal libro, oggetto sublime destinato a non perire nel tempo e ad essere preservato nelle Biblioteche.

La memoria cristiana ha come imperativo discorso, dunque, il perdurare nel tempo dell’avvenimento di Cristo come presente. La memoria collettiva, invece, è la permanenza, ma anche la trasformazione, di un discorso mitico attraverso cui le culture dei popoli hanno cercato di tramandarsi valori, nozioni, esempi vitali per la sopravvivenza e per la constante pulsione all’Essere (Dahl, 1948; de Schonen, 1974).

Andrè Leroi-Gourhan distingue cinque fasi nel processo della memoria collettiva: la trasmissione orale, la trasmissione scritta mediante codici o indici, quella delle semplici schede, la meccanografia e la classificazione elettronica per serie (1964-65, pp. 303-304). Durante il Medioevo, di queste cinque fasi, le prime tre erano considerate come fondamentali per il processo della memoria: se la trasmissione orale rappresentava la grande memoria storica, antica, che affondava le proprie radici nel mito, i codici scritti la perpetuavano ad maioram Gloriam Dei, mentre le schede, o glosse, rendevano il testo nel suo finale processo ermeneutico. Abbiamo così, in sintesi, la triade di quegli elementi necessari per fissare, attraverso il gesto definitivo della scrittura, l’insieme imaginario e mimetico che opera come mediatore di conoscenza sulla realtà e sull’uomo (Barthes, 1970). I medievali, e Dante, in primo luogo, avevano intuito che lo studio della memoria collettiva era il punto nodale per affrontare i problemi del tempo e della storia, ed eccezionalmente in tutta quella cultura, nel suo aspetto propiamente europeo, la memoria collettiva coincideva con la memoria cristiana tout court.

Per questo a Dante è stato possibile concepire un’opera come la Commedia, il cui valore oggettivo è quello di avere la pretesa di essere "il libro", una Bibbia non scritta da profeti o da evangelisti, ma da un uomo di lettere che è stato favorito dall’epoca in cui ha vissuto a rivivere e unificare la memoria individuale, la memoria collettiva nella forma miracolosa del ripetersi del Fatto cristiano.

La Commedia, o il libro, tanto sognato e rincorso da Borges, nasce dalla missione di salvare l’umanità dalla perdizione e indicarle la via della redenzione. Come libro, svolge una funzione educativa precisa, che è anche un tentativo che potremmo definire quasi sacramentale: la storia del viaggio ultraterreno di Dante, dal male castigato all’espiazione fiduciosa e alla contemplazione del Bene perfetto, non è solo la redenzione individuale dell’Autore (cosa che lo ridurrebbe a un libro fra i tanti) ma è l’invito alla redenzione dell’umanità intera, per mezzo dell’esempio di un singolo, redenzione che sebbene troverà la sua completa satisfactione nella vita beata del Paradiso, inizia già nella terra, secondo la bellissima formula dantesca di beatitudo huius vitae.

Il libro, dunque, possiede in Dante un valore eterno e universale, come il Poeta italiano si espressa nella:

il senso di quest’opera non è unico, anzi può dirsi polisema, cioè di più sensi; infatti il primo senso è quello che si ha della lettera, l‘altro è quello che si ha dal significato attraverso la lettera. E il primo si dice letterale, e il secondo allegorico o morale o anagogico" (1316-20 / 1965, p. 343).

Non solo la Commedia prevede questa lettura, giacché in Dante è tutta l’opera, la concezione cioè del libro che si asesta attorno al sistema polisemico e anagogico di essere un libro iscritto dentro al libro divino. La storia tutta è anagogica allo stesso modo, perché anch’essa è pellegrinaggio verso la Storia in un’ontologia di impianto tipicamente medievale che aveva impressionato la domanda onnisciente di Borges. Come metafora del pellegrinaggio terrestre, Borges utilizzerà l’esperienza "polisemica" della cecità, così come Dante l’esilio:

Quivi si vive e gode del tesoro
che s’acquistò piangendo nello essilio
di Babilon, ove si lasciò l’oro (1316-20 / 1965, Paradiso, XXIII, 133-135, p. 697).

Dante, dunque, assieme a Borges, ci permette di riconsiderare il libro come un oggetto vivo, attuale, un frammento del mondo dotato di una propria personalità, che è "l’estensione della memoria ed anche dell’immaginazione e della dimenticanza, visto che di questa è composta la memoria", come ricorda Borges suggestivamente.

Agli albori del XXI secolo, il libro deve essere ribadito come unico, originale, vigente trasmettitore di cultura e memoria autentiche. Come scrive Alfredo Bryce Echenique: "Vedere la versione del Quijote in un computer mi fa stare male. Come si potrebbe sottolineare, annotare e personalizzare quello scritto!" (Bryce Echenique, 2002).

Riferimenti bibliografici

Alighieri, D. (1965). Tutte le Opere. Firenze: Sansoni.

Barthes, R. (1970). L’ancienne rhétorique, aide-mémoire. Communications, 16, 172-229.

Borges, J. L. (1988). Finzioni. Milano: Edizione speciale per "Epoca" su concessione editore Einaudi, Torino.

Borges, J. L. (1989). Obras completas. Buenos Aires: Emecé.

Bryce Echenique, A. (2002, 23 de junho). El placer de la palabra escrita. El dominical, 10-11.

Calvino, I. (1979). Se una notte d’inverno un viaggiatore. Torino: Einaudi.

Cavalcanti, G. (1996). Rime. Milano: BUR

Dahl, N. A. (1948). Anamnésis. Mémoire et commémoration dans le Christianisme primitif. Studia Theologica, I (4), 69-95.

Florés, C. (1972). La mémoire. Paris: Presses Universitaires de France.

Halbwachs, M. (1950). La mémoire collective. Paris: Presses Universitaires de France.

Le Goff, J. (1979). Memoria, voce in AA.VV. Em Enciclopedia Einaudi (Vol. VIII, pp. 347-400). Torino: Einaudi.

Leroi-Gourhan, A. (1964-65). Le geste et la parole. Paris: Michel.

Paoli, R. (1992). Tre saggi su Borges. Roma: Bulzoni.

Schonen, S. (1974). La mémoire: connaissance active du passé. Paris-La Haye: Mouton.

Yates, F. A. (1966). The Art of Memory. London: Routledge and Kegan Paul.

Nota al riguardo dell’autore

Biagio D'Angelo è professore di letteratura presso l'Universidad Católica Sedes Sapientiae di Lima, Perù. Insegna inoltre nella Pontificia Universidad Católica della stessa città. I suoi campi di lavoro sono la letteratura comparata, la teoria letteraria, la modernità in letteratura (specialmente le aree slave e latinoamericane). Contatto: biagiodangelo@hotmail.com

 

Data de recebimento: 31/07/2002
Data de aceite: 30/09/2002
 
Memorandum, Out/2002
Belo Horizonte: UFMG; Ribeirão Preto: USP. 
http://www.fafich. ufmg.br/~memorandum/artigos03/dangelo01.htm

 

 

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