Souza, L. V. e Massimi, M. (2002) Il desiderio dell'oltremare nelle litterae Indipetae: le condizioni psicologiche per l'azione nella narrativa di giovani gesuiti del sedicesimo secolo. Memorandum, 3, 55-71. Retirado em   /  /  , do World Wide Web: http://www.fafich.ufmg.br/ ~memorandum/ artigos03/ souza01.htm.

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Il desiderio dell’oltremare nelle litterae Indipetae: le condizioni psicologiche per l’azione nella narrativa di giovani gesuiti del sedicesimo secolo
 
Investigation of the request to the oversea mission on the litterae Indipetae letters: psychological conditions to the action in the writings of young jesuits of the 16th century
 
Laura Vilela e Souza
Marina Massimi
Universidade de São Paulo
Brasil
 
 

Riassunto

Il lavoro si occupa del tema della elezione in alcuni documenti che fanno parte del corpo delle litterae Indipetae, scritte da giovani gesuiti durante il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo, per richiedere al Padre Generale della Compagnia di Gesù l’autorizzazione per l’invio nelle missioni ultramarine. Si è cercato di capire attraverso la trascrizione e l’analisi delle lettere, contenute nell’Archivio romano della Compagnia, gli aspetti psicologici riguardanti il processo decisorio che portava alla richiesta ufficiale di invio in missione. Ne risulta che, secondo il punto di vista espresso dagli autori delle lettere, la decisione è frutto di un forte desiderio sperimentato di diventare missionario. A sua volta, tale desiderio si lega al riconoscimento della specifica vocazione religiosa gesuitica e alla considerazione del destino ultimo della vita umana in quanto tale. Il processo motivazionale, che è di natura spirituale, edè guidato e sostenuto dalla lettura di opere di spiritualità come per esempio quelle di Loyola, il fondatore della Compagnia, si innesta su una dinamica psicologica definita e descritta secondo la prospettiva aristotelico-tomista.

Parole chiave: storia delle idee psicologiche; conoscenze psicologiche dei gesuiti; litterae indipetae

Abstract

This work investigates the election subject in the litterae Indipetae correspondence. These letters were written by young Jesuits in the XVI and XVII centuries asking The Society of Jesus General Clergyman for being sent to overseas missions. By the analysis and transcription of the letters, this research sought to understand the psychological aspects contained in the choice process of the request for becoming a missionary. It results that through the related experience point of view, the decision originates from the apprehension of the longing for becoming a missionary, and it takes into account the recognition of the applicant specific vocation and the life purpose itself. It’s a personal decision based on the concrete reality and it regards the subject inner life. It is also influenced by the aristotelic-tomistic philosophy and by the Jesuitical spirituality of the period, mainly through the spiritual work of St. Ignatius Loyola.

Keywords: history of psychological ideas; jesuitical psychology; litterae indipetae.

 

Indipetae: La scelta dell’Oltremare

Le lettere intitolate litterae indipetae furono scritte da giovani gesuiti del sedicesimo e diciassettesimo secolo, per richiedere l’invio nelle missioni dell’Oltremare al Padre Generale della Compagnia (da cui deriva il nome stesso di questo tipo di corrispondenza: Indi-petae). L’analisi della narrativa contenuta in tali documenti rivela la loro ricchezza euristica: si tratta infatti più che di una semplice domanda formale. Le Indipetae sono espressioni di esperienze soggettive ricche e profonde, frutto di una modalità di elaborazione dei contenuti del vissuto personale diffusa nell’ambito dell’Ordine e certamente ispirata a matrici culturali proprie dell’epoca. (Roscioni, 2001)

Nell’ambito di una spiritualità che, come quella gesuitica, valorizza profondamente la conoscenza di se stessi (Massimi, 1999), esistono diverse possibilitá di cogliere gli aspetti psicologici che traspaiono negli scritti di questi giovani. In questa ricerca, la lettura e l’analisi delle lettere risponde all’obiettivo di studiare come il tema ignaziono della "elezione" appare nelle narrative dei giovani i quali, nell’esporre la propria esperienza, descrivono il processo psicologico e spirituale attraverso cui è maturata la decisione di scrivere al Padre Generale comunicandogli il proprio desiderio delle Indie. Cercare di identificare la causa operativa di una tale decisione non è un compito facile, come osserva Cohen (1994): è difficile distinguere tra la causa esposta esplicitamente e giustificata da un preciso ragionamento ed i motivi inconsci che possono a volte costituire fattori determinanti di una scelta. Tuttavia, nella misura in cui "si inizia a ricostruire in dettaglio il percorso dello svolgimento delle decisioni individuali, emerge il contesto psicologico fondante" (Cohen,1994, p. 240, traduzione nostra).

In questo caso, tra le 14067 lettere manoscritte, disponibili presso l’Archivio della Curdia Generale della Compagnia di Gesù, in Roma, ne abbiamo scelte appena quarantanove, scritte da giovani spagnoli. I documenti - parte della collezione dell’Archivio chiamata Indipetae Hispaniae - furono redatti nel periodo compreso tra l’anno 1583 ed il 1600 e furono spediti dai collegi dell’Ordine di varie cittá spagnole. L’etá degli autori è variabile dai diciassette ai trentasette anni. La loro formazione intellettuale non è uniforme: molti di loro dichiarano di essere studenti dei corsi di Arti, Teologia, Grammatica, Filosofia, Latino, Greco, Ebraico, ma altri confessano di conoscere molto poco o di essere quasi analfabeti. Il tempo di appartenenza alla Compagnia di quelli che scrivono varia da pochi mesi a quindici anni.

La Spiritualità Gesuitica e il contenuto delle lettere

Perché si possa meglio comprendere il contesto nel quale viene maturata da questi giovani le decisione di richiedere l’invio in missione (giacché l’espressione Indiae utilizzata nelle lettere comprende la missione oltre-mare non solo nell’Oriente ma anche nell’Occidente, cosí come le missioni nelle terre degli infedeli, eretici e protestanti nella stessa Europa), dobbiamo innanzitutto porre in evidenza alcune caratteristiche dello stile spirituale gesuitico del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Tra le altre, possiamo riconoscere l’universalismo delle prospettive presenti nella formazione gesuitica, l’atteggiamento di apertura al soprannaturale, l’amore alla verità, l’imitazione dei Santi e dello stesso Gesù Cristo, l’educazione a verificare la presenza di Dio in ogni circostanza e la ricerca del fine al quale dirigere le proprie azioni. (Iparraguirre, 1964). L’impegno educativo rivolto a che i giovani novizi fossero in condizione di rendere sempre ragione della loro fede e collocassero Dio al centro di tutte le cose, purificando in tal modo ogni aspetto delle loro intenzioni, era costante nel processo formativo proposto nei collegi. Era anche raccomandato esplicitamente che nei giovani fosse inculcata una chiara coscienza del principio e fondamento della Compagnia, in modo tale che potessero

vedere meglio la ragione delle loro azioni ed orientarle convenientemente (...): tale è la continuazione del metodo seguito da Santo Ignazio negli Esercizi, che, se da una parte propone la presenza di un direttore spirituale frapposta tra il testo e l’esercitante, dall’altra gli ordina di mantenersi sempre al suo posto di guida senza mai intromettersi nel dialogo tra l’anima dell’esercitante e Dio. (Iparraguirre, 1964, p. 264 e 266, traduzione nostra).

La ricerca di una finalità di tutte le azioni ha il suo fondamento nella tradizione filosofica dell’aristotelismo. Secondo Aristotele, "l’essere nonè appena ciò che esiste, in atto; l’essere è anche ciò che può essere, la virtualitá, la potenza" (Pessanha, in Aristóteles 384-322 A.C., 1987, p. 19, traduzione nostra). In un momento dato, una certa qualitá della sostanza, chiamata virtù, si attualizza ed in tal modo si verifica il passaggio dalla potenza all’atto: l’essere si pone in movimento. Secondo questa dinamica, "ciascuna sostanza attualizza le sue rispettive e determinate potenzialità: il movimento dura fin quando permane la virtualità dell’essere, di ogni essere, di ogni natura, e termina quando l’essere espande le sue potenze e si attualizza pienamente" (Pessanha, 1987, p. 19, traduzione nostra).

Il movimento è orientato verso la realizzazione di una finalità, giacché ogni azione ed ogni scelta mirano sempre a una meta - la ricerca del bene supremo – che Aristotele, nella Etica a Nicomaco (1987), definisce come la felicitá. La felicità è il fine ultimo della vita umana, e la funzione di un uomo che aspiri al bene è, secondo il filosofo greco, la nobile realizzazione delle attività dell’anima; e ciò conduce l’uomo al possesso del sommo bene. Il principio razionale che esiste nella vita attiva dell’uomo lo rende differente da tutte le altre specie animali: l’obbedienza alla ragioneè la carattersistica peculiare dell’umano.

Nelle lettere Indipetae, la narrativa dell’esperienza che i giovani autori fanno al riguardo della decisione di richiedere l’invio alle missioni dell’Oltremare, è in stretto rapporto con il riconoscimento dello scopo della propria vita. I giovani vogliono capire quel che accade nella loro esperienza interiore; per essi, tale conoscenza coincide con il riconoscimento della volontà divina e della propria vocazione specifica. La ragione conferisce ordine al pensiero, in modo tale che si possa agire in conformità con la piena realizzazione dello scopo dell’esistenza.

Il processo che soggiace alla scrittura dell’Indipeta è provocato, nei giovani autori, dal veemente desiderio di andare cono missionario oltremare. La parola desiderio, che compare in tutte le lettere, è infatti la chiave di volta per l’accadere della decisione e per questo motivo esso deve essere riconosciuto e verificato quanto alla sua autenticità. Se il desiderio proviene da Dio, rivelerá anche il cammino perché si realizzi l’opera per cui è stato suscitato e nessun altro tipo di servizio potrà corrispondere in modo perfetto a tale finalità. Per tali motivi, il desiderio non puó essere ignorato ma occorre che sia sottoposto ad una valutazione critica.

Cosí come questo giovane indipetens, autore del brano citato, molti dichiarano di essere entrati nella vita religiosa e nella Compagnia di Gesù mossi dall’impeto per la missione:

muy determinado de nunca entrar en religion alguna persuadido con muchas razones aunque falsas, me toco el coraçon Aquel que es fuente de agua viva tan vehementemente en un sermon de uno de la Compania que basto para hacer me determinar luego en menos de un quarto de hora a dexar el mundo para siempre" (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.28, scritta da Myn de Gupergui, il 28 novembre 1584).

Nella prospettiva della spiritualità ignaziana, le scelte sono sempre accompagnate da una forte esperienza affettiva, giacché l’affettivitá è una forma di comunicazione divina (Domingues, 1992). Il desiderio, che costituisce uno degli elementi dell’affetto, muove la volontà verso l’elezione. Ma, perché questa dinamica si svolga, occorre che gli affetti siano ben ordinati. L’ordinazione degli affetti è necessaria; infatti il disordine impedisce sempre il raggiungimento del fine ultimo. Se si vuole agire in modo corrispondente all’ordine stabilito dal fine ultimo, bisogna purificare l’intenzione che muove l’azione, eliminando le cosiddette affezioni disordinate. Queste inibiscono la disposizione della volontá umana verso la retta intenzione, cheè l’intenzione orientata a corrispondere all’intenzionalità divina (Idem).

L’affetto può essere ingannevole ed in tal caso provoca uno stato di agitazione interiore. Perciò, l’impegno di ordinare l’affezione alla volontà di Dio deve essere costante, per evitare che il desiderio, invece di essere un mezzo, diventi un ostacolo che si frappone tra l’intendimento umano e la realtà (Domingues, 1992).

Tale posizione si ispira nella concezione aristotelico-tomista, secondo la quale il disordine è una "perdita di coscienza del bene reale, nella misura in cui l’uomo si lascia determinare dal bene apparente" (Massimi, 2001, p. 21: traduzione nostra). Gli affetti devono essere ordinati secondo l’ideale dell’equilibrio. Le passioni sono movimenti affettivi particolarmente intensi. Per se stesse, non sono negative ma possono diventarlo quando non accuratamente vagliate e sottomesse dalla ragione - il livello più alto dello psichismo umano. Un’emozione eccessivamente intensa, può ostacolare l’uso corretto della ragione. Giacché gli eccessi sono sempre nocivi, il controllo delle passioni è specialmente raccomandato. L’ordinamento delle passioni si realizza per mezzo delle facoltà intellettive: queste rendono possibile il riconoscimento dell’ideale che deve orientare l’esistenza umana. La volontà, dinanzi alla scoperta di tale ideale, induce il movimento degli affetti e suscita il desiderio, la cui funzione sarà di orientare tali affetti secondo la direzione dell’ideale scelto (Massimi, 2001).

La maggior parte degli Indipetentes ammette di sperimentare da anni il desiderio dell’oltremare. Le ragioni che adducono frequentemente per giustificare la richiesta dell’invio in missione, sono diverse: il bene della propria anima, l’aiuto al prossimo, la maggior gloria di Dio, la gratitudine per i benefici ricevuti da Dio, la conversione delle anime, l’insegnamento e la difesa della fede cattolica, il desiderio di dare la vita in nome di Dio, il cammino verso la perfezione.

Molti di loro scrivono le lettere nell’occasione della visita al collegio di qualche Padre procuratore. In tali visite, il Padre procuratore aveva suggerito che coloro che volevano essere missionari scrivessero al Padre Generale, dal momento che questi possedeva il dono del discernimento circa la bontà di tale desiderio. I giovani dovevano scoprire i segreti della loro anima e del loro cuore e rivelarli al Padre Generale affinchè li esaminasse e li orientasse. Nell’epistola, i giovani dichiarano la loro fiducia in tale valutazione per la caritá del superiore e riconoscono in essa il cammino scelto della Divina provvidenza per manifestare i suoi disegni.

Le lettere dei compagni che già si trovavano in missione, la storia della vita dei Santi (come Francesco Saverio), la biografia di alcuni eroici missionari (come Antonio Criminali e Golçalo da Silveira), le prediche ascoltate, motivano i giovani a formulare la loro domanda, come è chiaro da questo brano:

Con tan buena nueva como estos dias tenemos por aca de la muerte o por mejor dezir de la nueva vida de tantos martires que cierto ha sido pra mi una nueva de tanta consolacion que cierto no lo podria declarar com palabras (ARSI, Indipetae Hisp., 758, lettera n.80, scritta da Bernardo Matias, il 17 marzo 1587)

Alcuni di loro dichiarano di provare da lungo tempo il desiderio delle Indie, poi di averlo messo da parte e di averlo ritrovato recentemente nel fondo del loro cuore. In certuni, il desiderio delle Indie inizialmente discontinuo, è divenuto sempre più frequente e costante, crescendo in intensità. La pratica degli Esercizi Spirituali, senza dubbio, contribuisce a questa crescita della motivazione. A volte il desiderio puó assumere proporzioni talmente grandi da distogliere il soggetto dalle attività quotidiane: si impone con irruenza durante lo studio o le lezioni scolastiche, interrompe il sonno, toglie l’appetito e l’interesse per la vita presente. Diventa, insomma, il pensiero dominante.

La coscienza delle ardue difficoltà che si incontreranno in missione non impedisce l’impeto verso le Indie. Anzi, queste sono considerate come opportunitá per l’aumento della virtù. Infatti, l’esempio di coloro che si dedicarono all’impresa missionaria, indica ai giovani che essaè un cammino privilegiato per l’incremento della virtù e del fuoco della carità, per provare la privazione dei beni materiali a vantaggio dell’integrità dello spirito. L’impegno di evangelizzazione nelle Indie lascia molto poco tempo disponibile per il riposo corporale in favore di un piú intenso servizio ai fratelli. Nelle lettere, gli Indipetentes forniscono le ragioni della loro scelta: andare per terre straniere, in mezzo a ‘bárbara e feroz gente’ serve alla propria conversione:

Por ver me algunas veçes desamparado de todas las criaturas, y en peligros, donde la vida y la muerte solamente vea que depende de Nuestro Señor para pornerme siempre en sus manos, y fiarme solo de su divina Magestad (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.12, scritta da Baltasar de Torres, in data sconosciuta)

... y la razon que entre otras me movio fue ver que tarde (o temprano) yo me avia de morrir si e considerandome en aquella hora perguntandome a mi mesmo: que te da pena? Y qui quisiera haver hecho? Y ofereciaseme que quisiera aver servido de verdad a Dios Nuestro Senõr y aver padecido muchas cosas por amor de aquel Señor que tantas padeçes por mi, Y offreciendome tanbiem que me veya en aquella hora corcido y avergonzado delante de Nuestro Señor por aver sido tan covarde, y floxo en cosas de su serviçio de las animas, esta razon es la que he traido delante de los ojos todo este tiempo (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.106, scritta da Diego Sanches, 1588)

La mancanza di studio è un motivo per cui alcuni non si reputano adeguati alle missioni:

La segunda causa que dise a Vuestra Paternidad averme sido impedimento es conocerme por todas partes indigno desta impresa, asi por las pocas letras, por no aver estudiado mas de humanidad (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n. 22, autore sconosciuto, scritta il 9 ottobre 1584).

La condizione fisica dei giovani è un importante fattore per la scelta tra gli Indipetentes: molti di loro dichiarano nella lettera di godere buona salute, di poter sopportare lunghi viaggi per mare, di essere disponibili ad assumere i lavori più pesanti.

Il cammino dell’elezione sotto la guida di Ignazio di Loyola

La lettura della biografia e degli scritti spirituali del santo fondatore Ignazio di Loyola svolge un ruolo fondamentale quanto alla formazione spirituale dei giovani gesuiti, soprattutto per mezzo della circolazione delle sue istruzioni e dell’intensa corrispondenza da lui mantenuta con i membri dei vari collegi della Compagnia di Gesù, sparsi per il mondo.

Per capire la dinamica psicologica che sottende la scrittura delle lettere Indipetae, in primo luogo è opportuna la considerazione circa l’insegnamento di Ignazio riguardante la buona elezione (1). Negli Esercizi Spirituali sono infatti indicati tutti i passi necessari per raggiungere il discernimento necessario per agire in conformità al volere divino. La determinazione presuppone una decisione personale fondata sulla considerazione della realtà concreta.

Coloro che praticano gli esercizi devono verificare la propria disponibilità all’offerta della vita, sempre in clima di preghiera e di penitenza, per ottenere l’equilibrio affettivo necessario. L’intenzione di imitare Cristo e l’adesione al cammino e ai mezzi opportuni, conducono allo scopo desiderato, che è il servizio di Dio. (Loyola, 1999).

O’Malley (1999) afferma che gli Esercizi contengono "l’essenza di quel che Ignazio intende come realizzazione spirituale e la propongono in forma comprensibile ed adeguata a guidare altre persone fino ad ottenere il cambiamento della concezione e della motivazione" (1999, p. 8, traduzione nostra). Gli Esercizi erano prescritti per tutti coloro che volessero entrare nella Compagnia. Secondo O’Malley, il documento mostrava ai gesuiti "quel che essi erano e come essi dovevano essere (...) e stabiliva il modello e gli obiettivi di tutti i ministeri nei quali la Compagnia si impegnava" (1999, p. 9, traduzione nostra).

Gli Esercizi non consistevano nella spiegazione di una dottrina, ma nell’applicazione di un metodo, frutto delle esperienze spirituali di Santo Ignazio, principalmente durante il periodo della sua permanenza in Manresa (2), profondamente connesse agli insegnamenti evangelici (Iparraguirre, 1964).

Le lettere Indipetae sono direttamente influenzate da questo metodo di discernimento e di riflessione, suggerito dagli Esercizi. Ignazio afferma che inizialmente la decisione della persona è ispirata da diversi "spiriti", alcuni espressivi del "desiderio del cielo", altri degli affanni terreni (Loyola, 1993). Siccome il bene ed il male sempre si mescolano, lo stesso desiderio potrebbe essere una tentazione. Perciò esso deve essere esaminato quanto alla motivazione che lo ispira, per aver certezza che è di origine divina ed in tal modo garantire una esistenza autenticamente al servizio di Dio.

Un autore delle Indipetae racconta che, avendo indugiato due anni per esporre il suo desiderio al Superiore, si era accorto che la sua titubanza in realtà era una resistenza alla volontà divina e si era finalmente deciso a scrivere. Un altro dichiara che da sette anni viveva una dura guerra interiore: da un lato, Dio gli concedeva e gli moltiplicava il desiderio delle Indie, dall’altro, lui stesso costruiva nella sua mente mille argomenti contro tale desiderio. In tal modo, aveva perso l’appetito ed il sonno, era triste e consunto e temeva di cadere in una "grave enfermidade". (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n. 113, scritta da Juan de Arraçola, il 2 giugno 1588).

Questi giovani, di fronte all’impeto del desiderio, cercano di apprendere la pazienza e la mortificazione, con l’obiettivo di liberare l’affetto da quegli oggetti che possano impedire lo sviluppo spirituale. Alcuni di loro narrano di essersi fatti come sordi al richiamo del desiderio e di aver addotto, per far fronte alle sue pretese, innumerevoli ragioni per giustificare l’impedimento quanto all’invio oltre-mare. Una di queste ragioni è la scarsa salute della psiche e del corpo: "ha dois anos, tive algumas melancolias" (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.4, scritta da Seraphim Bonaventura Coçar, il 2 maggio 1583). Seraphim però si lamenta del fatto che quelle stesse ragioni gli causano inquietudine e restringono le sue forze e per tale motivo sospetta che esse possano essere indotte dal Demonio (3).

Secondo Loyola (1999), l’esperienza della consolazione e delle desolazione che sono parte della fase della vita spirituale dedicata all’elezione, sono accompagnate dalla chiarezza mentale e dalla conoscenza evidente. In tal modo, non sussiste lo stato iniziale di agitazione interiore e le facoltà psichiche possono essere usate dal soggetto in modo libero e sereno. In questo momento, si può procedere all’analisi degli elementi oggettivi e della situazione concreta e soggettiva, lasciando il campo libero all’attuazione della ragione illuminata dalla fede. (Loyola, 1999).

Attraverso l’analisi della corrispondenza epistolare che Ignazio intratteneva con i membri della Compagnia di Gesù e con altri interlocutori esterni alla Compagnia, possiamo identificare aspetti che ci aiutano a comprendere ciò che ci si aspettava da un gesuita di quel periodo, al riguardo delle sue decisioni, comportamento e formazione spirituale. Ignazio (1993) afferma in alcune delle sue lettere che per prendere una decisione è necessario possedere indizi sufficienti, desideri santi e soprattutto a questo scopo fare un esame di coscienza buono e sincero.

La decisione deve essere basata su fatti reali e concreti. L’esperienza sarà valorizzata come forma di valutare se la decisione porterà con sè la quiete ed il riposo dell’anima. Le esperienze interiori sono migliori delle impressioni esteriori "nonostante il fatto che in molte occasioni la stessa creatura ponga impedimenti a ciò che il Signore vorrebbe realizzare nella sua anima" (Loyola, Vol. 2, 1993, p 36, A Francisco de Borja, Duque de Gandía, Roma, 1545).

Si può riconoscere in questi documenti l’importanza che Ignazio attribuisce alla conoscenza interna: "conoscere anche i pensieri più insignificanti e altre sottigliezze che provocano impedimento e disordine" (Loyola, Vol. 2, 1993, p. 37, A Francisco de Borja, Duque de Gandía, Roma, 1545). Tale posizione è senza dubbio espressione del momento storico cui Ignazio appartiene: l’Umanesimo e la sua valorizzazione dell’uomo e della sua vita interiore (4).

Dinanzi ad una decisione, ci si deve interrogare se si è preparati, se il raggiungere o il rinunciare a ciò che si desidera provocherà nel proprio animo contentezza e consolazione. Un gesuita non dovrà mai volere qualcosa che sia superiore alle sue forze, nè dovrá aver fretta di raggiungere l’obiettivo desiderato. Non è consigliabile decidere qualcosa in un momento in cui ci si senta presi dai timori, insicuro e senza la libertà di spirito necessaria per il buon discernimento. Innnanzitutto bisogna ricercare la tranquillità interiore e la pace della coscienza per operare, avere cioè

un’anima visitata e consolata da Dio, che le toglie tutta l’oscurità e l’inquietudine, adornandola con tutti i beni spirituali, rendendola contenta e appassionata alle cose eterne che sono destinate a durare per sempre in perpetua gloria. (Loyola, Vol. 2, 1993, p. 36, A Francisco de Borja, Duque de Gandía, Roma, 1545, traduzione nostra).

L’impedimento consiste nell’aver riconosciuto la grazia ma non saperla conservare. Per questo, per Ignazio, ogni decisione deve essere presa per mezzo di molte orazioni, proprie e dei compagni, chiedendo sempre che "la nostra volontà in nulla sia differente dalla volontà divina" (Loyola, Vol.2, 1993, p. 40, A Dr. Pedro Ortiz, 1546).

Ignazio in molte lettere ribadisce la preocupazione di aiutare i giovani ad attingere l’equilibrio del "giusto mezzo", che è l’ideale di perfezione di un gesuita, attraverso il discernimento che evita gli eccessi.

voi dovete eccellere in studio e virtù. (...) Dato il soccorso e gli aiuti interiori ed esteriori che Dio ci concede attraverso tutte le vie possibili, a ragione si sperano da noi frutti straordinari. Per questo l’obbligo che noi abbiamo di vivere una vita santa, non è adempiuto da un procedimento ordinario di vita (Loyola, Vol.2, 1993, p 42-43, Ai Padri e Fratelli di Coimbra, 1547, traduzione nostra).

Secondo Ignazio, i "nemici" che si oppongono al raggiungimento del fine ultimo della vita sono l’ignavia, l’accidia spirituale, la pigrizia negli studi: "Per amor di Dio, non siate remissivi, nè ignavi, perché l’inerzia rompe l’animo così come l’arco si rompe per troppa tensione" (Loyola, Vol.2, 1993, p 44, Ai Padri e Fratelli di Coimbra, 1547, traduzione nostra). I giovani devono cercare di imitare modelli virtuosi, poichè trovano soddisfazione in questa vita solamente coloro che sono impegnati nel servizio di Dio con fervore:

Ed a ragione: perché si sforzano per vincere se stessi, per abbattere l’amor proprio, per estirpare dalla radice tutte le passioni e tutte le tribolazioni della carne (Loyola, Vol.2, 1993, p. 45, Ai Padri e Fratelli di Coimbra, 1547, traduzione nostra).

Un gesuita dovrebbe essere sempre prudente per non cadere in qualsiasi tipo di eccesso, dando cattivo esempio agli altri. Deve avere lo sguardo sempre rivolto ai beni eterni. I giovani in formazione sono invitati a considerare seriamente la promessa di felicità e la dignità della loro vocazione:

Oh! Che cattivo soldato è colui a cui non basta la promessa di queste ricompense per animarlo a porsi al servizio di un tale Principe! (...) Se infatti conoscete i vostri obblighi e desiderate progredire nella virtù e disporvi a collaborare all’aumento dell’onore e del servizio a Lui, siete ancora in tempo per collocare in pratica questo vostro desiderio (Loyola, Vol.2, 1993, p 47, Ai Padri e Fratelli di Coimbra, 1547, traduzione nostra).

Obbedienza e Indifferenza: le virtù del cammino per l’Oltremare

Obbedienza ed indifferenza sono due virtù di grande rilievo per i gesuiti. L’obbedienza si ottiene attraverso l’abolizione della volontà e richiede una docilità senza indugio ed una consegna radicale di sè stessi nelle mani del Superiore della Compagnia e del Sommo Pontefice (Lacouture, 1994; Bangert, 1990). Si tratta di una virtù essenziale nel profilo ideale di un buon gesuita, virtù che non può essere intesa però come abdicazione della libertà di decisione. Infatti l’obbedienza alla volontà di Dio e dei superiori (i quali sono i portavoce della volontà divina su questa terra), è il cammino pedagogico che permette di aderire a ció che piú conviene alla realizzazione della finalità ultima, che è il disegno di Dio nella storia umana.

Le decisioni, anche quelle orientate dagli Esercizi spirituali o da altre istruzioni e norme, devono avvenire nel rispetto della personalità e della libertà di ciascuno. Coloro che dirigono gli esercizi devono perciò avere una visione chiara dell’individuo per poterlo aiutare nella scelta della sua missione ed orientarlo ad essa in modo conveniente. Da parte del giovane, è richiesta apertura e sincerità nell’esporre i suoi timori e le sue difficoltà (Iparraguirre, 1964).

Secondo Loyola (1993), la natura umana è segnata dalle passioni e dalla fragilità che possono però essere vinte attraverso l’acquisizione di costumi virtuosi. Per questo motivo, è fondamentale per un gesuita realizzare la virtù dell’obbedienza, intesa come la sottomissione del proprio giudizio a quello del superiore. Infatti, quando si è signori del proprio volere, si può essere dominati dalla superbia e dalla vanità; mentre nel caso in cui la volontà sia retta dal giudizio del superiore, si evitano "gli errori del proprio giudizio ed i difetti e peccati della propria volontà" (Loyola, Vol.2, 1993, p. 58, Ai Padri e Fratelli di Gandia, 1547, traduzione nostra).

La direzione spirituale sollecita del Superiore rende possibile la vittoria sulle tentazioni e sulla fragilità; ci si libera daí dubbi e si vive in pace e serenità. Qui risiede il segreto della perfezione:

Per conservare l’equilibrio tra gli estremi della freddezza spirituale e del fervore indiscreto, sforzatevi di vivere l’obbedienza, e se avete un desiderio ardente di mortificazione durante l’epoca degli studi, preoccupatevi di soggiogare la vostra volontà e di sottomettere il vostro giudizio al giogo dell’obbedienza, senza debilitare il corpo e affliggerlo in eccesso. (Loyola, Vol.2, 1993, p. 50, Ai Padri e fratelli di Coimbra, 1547, traduzione nostra).

I gradi dell’obbedienza sono così concepiti da Loyola: in primo luogo, eseguire quel che è comandato dal superiore; in secondo luogo, immedesimarsi con la volontà del superiore ed aderirvi con tutto l’affetto; infine, conformarsi al giudizio del superiore nell’intelligenza in modo tale "da non avere solamente una volontá ma anche un intelletto simile a quello del Superiore" (Loyola, Vol.2, 1993, p. 109, Ai Padri e Fratelli del Portogallo, 1553, traduzione nostra).

L’indifferenza può essere intesa come "stato in cui sono aboliti i desideri, gli impulsi, le preferenze e gli interessi personali" (Lacouture, 1994, p. 122, traduzione nostra). Questa virtù è un requisito necessario per prendere qualsiasi decisione, poiché l’equilibrio ottenuto per suo mezzo rende possibile la libertà interiore e la persona può ricevere la mozione spirituale che pone in luce ciò che Dio vuole da lei. L’indifferenza evita di essere alla mercé delle ‘affezioni disordinate’, e cioé

"tutte le aspirazioni profonde (coscienti e incoscienti) della persona che conducono all’inimicizia con Dio e che la portano a deviare da ciò che le è proposto" (nota del Padre Géza Kovecses in Loyola, 1999, p 10, traduzione nostra).

Nella narrativa delle Indipetae, i giovani manifestano in molti casi la certezza circa la provenienza divina del desiderio delle Indie e la decisione nei confronti dell’azione cui il desiderio spinge. Devono perciò confrontarsi costantemente con l’indifferenza e l’obbedienza richieste perché l’impegno desiderato sia verace e costruttivo. Per questo motivo, espongono il loro desiderio al Padre confessore e ad altri sacerdoti autorevoli della Compagnia, i quali, in alcuni casi, li esortano alla pazienza e all’attesa, in altri li rimproverano per aver tardato a scrivere al Padre Generale.

Uno di loro, per esempio, racconta di aver aspettato diciotto anni prima di decidersi a redigere l’Indipeta, in virtù della raccomandazione impartita da Loyola per cui è molto piú edificante essere mandato in missione, che non andare per volontà propria:

Pero por ser negocio tam grave, y tam deseado de mi, con algum temor de mi proprio afecto en esto, lo he ido pensando todo este tiempo con mas veras, y perseverando mis motivos, juntando con esto una confesion general que hize de toda mi vida para el tiempo de los votos: pidiendo consejo al confesor si servia proponer este negocio (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.43, scritta da Antonio Perez, il 4 aprile 1585).

Durante il tempo che si frappone tra l’espressione del desiderio e l’attesa di una risposta, i giovani Indipetentes rassicurano il superiore di dedicarsi alla preghiera, alla penitenza, alla frequenza ai sacramenti, alla mortificazione delle passioni, al lavoro. Cercano di osservare attentamente la regola della Compagnia e di offrire a Dio tutte le loro azioni fin dal presente, in modo da essere pronti, per mezzo di questa educazione, ad assumere future e più pesanti responsabilità. L’attesa è quindi lo spazio per l’esercizio delle virtù.

Da parte dei giovani autori delle Indipetae, inoltrare la richiesta dell’ invio in missione al Padre Generale, implica un’azione deliberata. Alcuni di loro dichiarano di scrivere su richiesta dei superiori e affermano di essere disposti ad andare in qualsiasi posto purchè sia per la maggior gloria di Dio. Altri invece non raggiungono la perfetta indifferenza e descrivono con sincerità le loro debolezze e preferenze, come nel caso di uno che pone come condizione l’invio in luoghi que non siano "terras tão frias", per motivi di salute:

por parecerme o temer (y no se si es temor humano y covardia), que las partes frias son mucho contra mi natural, pero de esto no tengo ni puedo tener experiencia por no aver nunca vivido en ellas y asi quanto a este particular no pido nada sino que VP me enbie adonde mas julgare conveniene (Idem, lettera n.25, scritta da Francisco Duarte, 17 settembre 1587).

C’è chi pone restrizioni come nel caso di questo giovane che, per evitare tentazioni, preferisce andare in quelle Indie dove la gente usi vestiti:

Jo ha 7 o 8 anos deseo yr a las Indias indiferentemente a las que me quisiere embiar el Senõr, aunque me parece yria de meyor gana a las que van vestidos que a las que van desnudos (ARSI, Indipetae Hispaniae, 758, lettera n.11, scritta da Blas Maldonado, 25 luglio 1584).

Il desiderio non permane sempre costante, può aumentare ma anche diminuire nel tempo (Massimi, Prudente, 2002). Molti attribuiscono la diminuzione nel desiderio alla propria scarsa virtù:

pero cesavan aquellos deseos, parte por verme tan inhabil (como ahora) por mi poca virtud, parte por no tener certidumbre bastante de la voluntad de Nuestro Señor (ARSI, Indipetae Hispaniae, 758, lettera n.13, scritta da Balthasar de Torres, 14 agosto 1584).

Per taluni, la titubanza nello scrivere è causata dal raffreddarsi del desiderio per il timore di dover lasciare la propria terra natale ed i parenti. C’è anche qualcuno che ha paura di viaggiare per mare a causa della fragilità della sua salute corporale.

Tutti questi pensieri timorosi, attribuiti all’influenza del demonio, possono peró scomparire nella misura in cui si riafferma la fiducia in Dio, Colui che suscita e mantiene viva la fiamma del desiderio. Il cammino dell’Oltremare guadagnato attraverso l’acquisizione delle virtù dell’obbedienza e dell’indifferenza attraverso la prova dell’attesa, è ora aperto e può essere percorso, non però in modo solitario ma come parte del corpo della Compagnia.

La prova del desiderio - la funzione del Padre Generale

Per poter realizzare un giusto discernimento degli spiriti e fare una scelta adequata, è molto importante conoscere bene le debolezze e le virtù della propria persona, conoscenza questa che avviene nel rapporto con il direttore spirituale, prima, e col Padre generale, poi. Quando i giovani autori delle lettere espongono se stessi, lo fanno anche per conoscere veramente se sono atti alla missione desiderata. Infatti, se questo desiderio non fosse corrispondente al disegno di Dio, non si avrebbe certezza della protezione divina di fronte ai pericoli:

y haziame dudar el pensar que si yo lo pedia por este medio, y Vossa paternidade me lo concediesse que en qualquiera tentaçion que la el camino (o que estando alla) me viniesse, faltaria, y que Dios no mi favoresçeria por averme yo puesto en tales peligros, y tomalos con mis proprias manos, y assi todo este tiempo a sido dessear, y pedir a Nuestro Señor inspirasse a VP para que quisesse yo sin temor, y la qualquier peligro pudiesse servir a Dios NS pidiendole su ajuda con gran confiança (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera n.106, scritta da Diego Sanches, il 1 maggio 1588).

tiniendo por mas acertado lo que ase me mandare, pues sera ordenaçion cierta de Dios, que no quiere ni puede enganarme (Idem, lettera n.43, scritta da Antonio Perez, il 4 aprile 1585).

Il Padre Generale è investito dell’autorità necessaria per valutare la richiesta dei giovani Indipententes ma per questo motivo deve ricevere informazioni sufficienti per prendere la decisione. Le lettere sono piene di informazioni riguardanti la storia degli autori, modulate però dallo sforzo di persuadere il destinatario ad una decisione positiva. Alcuni di loro, poi, che esplicitamente dicono di scrivere per capire meglio loro stessi ed il dinamismo interiore sperimentato, preferiscono attraverso la lettera rimettere alle mani di Dio, nell’autorità del superiore, qualsiasi tipo di scelta.

In certi casi, alla fine della lettera, gli autori si dicono timorosi di non essere stati capaci di esprimere correttamente se stessi, o manifestano la preoccupazione che per vari motivi la lettera possa non arrivare nelle mani del destinatario. Di fronte a questi timori però è riaffermata la fiducia che Colui che ha dato il desiderio, darà anche il cammino per realizzarlo ed in tal modo si esprime un atteggiamento di docilità e di attesa speranzosa. Ma c’è sempre qualcuno che non si conforma all’attesa perché il desiderio è troppo forte ed impellente e non può essere messo a tacere nè il suo compimento può essere ritardato:

pero quando no me calo se me representa Christo nuestro redemptor en la enviado con ojos muy tristes i voz dolorosa pareçe que me diçe: por que Juan quieres dejar mi cruz que te envio ella io hecho? (Idem, lettera n.113, Juan de Arraçola, 2 giunho 1588).

Infine concludono lo scritto dichiarando che il loro desiderio è profondo e conforme alla vocazione della Compagnia di Gesù e che si dispongono ad andare in missione, anche al prezzo di essere destinati ai peggiori servizi. Aggiungono che non hanno restrizioni all’invio da parte della famiglia nè dal punto di vista della salute corporale: quelli che sono in buona salute ritengono che ció possa costituire una ragione in più per facilitare la decisione quanto all’invio; quelli che hanno una salute malferma, si dicono certi che la variazione climatica favorirà il loro ristabilimento. In qualsiasi caso, sono sicuri che è Dio che li chiama:

lo uno porque no veo motivo humano que a ello me incite (...) lo segundo porque no veo que me he en estos desseos mas passive que active que siento gusto en solo pensar que es problable que se me cumplire el qual gusto me incite (ARSI, Indipetae Hisp. 758, lettera non numerata scritta da Francisco Duarte, il settembre 1587).

no ser cosa mia sino de la mano de Nuestro Señor y por ser con cosa ya tan mirada y tanto tiempo deseada (idem, lettera n.22, autore non identificato scritta il 9 ottobre 1584).

Infine, è esemplare dell’atteggiamento dei giovani verso il Superiore questa lettera di Diego Sanches: la decisione circa l’opportunità di inoltrare la richiesta dell’India al Superioreè suscitata dal riconoscersi "cooperatori della Divina Provvidenza" nella costruzione della storia umana:

Considerando aquellas palavras que Nuestro Padre Ignacio dize en el principio de las constitutions (que la divina providencia pide cooperacion de sus criaturas) sali de una duda en la qual avia estado (...) y la duda era si seria açertado, o no, dar parte a Vuestra Paternidad de mios tibios deseos que tenia de yr a qualquiera parte de las que nuestros padres andan en missiones (Idem, lettera n.106, scritta da Diego Sanches, il giorno dell’Ascensione del 1588).

Le condizioni psicologiche dei giovani Indipetentes qui descritte, nonostante la diversità di storie di vita, temperamenti, provenienza, età, sono evidentemente modulate dalla formazione ricevuta nella Compagnia – formazione che come abbiamo visto si ispira nella psicologia aristotelico-tomista - e possiedono così alcuni tratti comuni, specialmente la risoluta decisione di non desistere dalla domanda:

que io estoi apostado y mui resoluto a pedir y insistir en esto con todas las fuerças y no cessar hasta no alcançarlo o in grande desengano que esta no es voluntad de Dios porque no siento cosa que mas me mueva delante de Dios (Idem, lettera n.264, scritta da Antonio Cabral, il 6 dicembre 1600).

Riferimenti bibliografici

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Note

(1) Nella concezione ignaziana, elezione significa:"l’assimilazione della persona alla conunione trinitaria del Dio vivo operata dallo Spirito Santo, fino alla pienezza dell’àgape del Padre. Da parte della persona, l’elezione implica l’accettazione piena della scelta operata da Dio; corrisponde ad una perfetta adesione alla Sua volontà (...), all’ordinazione della propria vita al disegno divino, alla identificazione piena di ‘ciò che io voglio’ con il movimento divino. (nota di Padre François in Loyola, 1999, p. 71, traduzione nostra). Volta

(2) Ignazio era in convalescenza da una ferita alla gamba che gli era stata inferta in guerra, dopo la battaglia di Pamplona (1521). Nella casa di sua cugina, dove risiedeva, lesse alcuni libri riguardanti biografie di santi e di Cristo. Queste letture lo condussero a riflessioni profonde circa la propria vita e la presenza di Dio: "Allora fece l’esperienza che alcuni pensieri lo lasciavano triste ed altri allegro. In tal modo arrivò alla conoscenza della diversità degli spiriti che lo muovevano, nel primo caso provenienti dal demonio, nel secondo da Dio." (Loyola, 1991, p. 23, traduzione nostra). Il desiderio di una vita santa fu, in tal modo, l’impulso che nononstante il suo passato mondano, lo portò ad abbracciare una nuova condizione di vita, dedita alla preghiera ed alla penitenza. Volta

(3) "È tipico dello spirito maligno che il soggetto sia preso dal rimorso, dalla tristezza e che collochi mille ostacoli, pieno di inquietudine causata da false ragioni, in modo da rimanerne paralizzato. Al contrario, è tipico dello spirito buono incutere animo, forza, consolazione, lacrime, ispirazione, quiete, facilitando ed eliminando ogni impedimento perchè la persona possa progredire verso la pratica del bene" (Loyola, 1999, p.122, traduzione nostra). Volta

(4) O’Malley nel discutere le importanti influenze che determinarono il sorgere della Conpagnia di Gesù, afferma che "l’Umanesimo, per esempio, sortì evidenti effetti sulla Conpagnia ed i membri del gruppo originario (i primi dieci) ne furono influenzati ancor prima del loro arrivo in Italia nel 1537. Malgrado questi ed i loro seguaci fossero profondamente legati alla tradizione scolastica medievale, tutti avevano appreso a leggere e scrivere in lingua latina nello stile umanista ed erano molto sensibili alla critica umanista della teologia scolastica." (1999, p. 19-20). Volta

Nota al riguardo delle autrici

Marina Massimi è Professoressa Associata del Dipartimento di Psicologia e Educazione della Facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere dell’Università di São Paulo (Campus di Ribeirão Preto). Area di Ricerca: storia delle idee psicologiche. Contatto: mmarina@ffclrp.usp.br

Laura Vilela e Souza studia presso il Corso di Laurea in Psicologia della Facoltà di Filosofia, Scienze e Lettere dell’Università di São Paulo e realizza ricerca come borsista CNPq. Contatto: lauravilela@bol.com.br

 

Data de recebimento: 10/07/2002
Data de aceite: 25/09/2002
 
Memorandum, Out/2002
Belo Horizonte: UFMG; Ribeirão Preto: USP. 
http://www.fafich. ufmg.br/~memorandum/artigos03/souza01.htm

 

 

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